Nel 1962, Pietro Nenni (PSI) ha creato l’espressione “stanza dei bottoni”, una immaginifica metafora per illustrare un desiderio, durato 70 anni, di poter entrare nelle stanze ministeriali (e dintorni) dove immaginava, chissà quali magheggi si facessero, ovviamente ai danni dei cittadini, e per ingrassare la Vacca Bianca e di suoi mini alleati.
Ovviamente, una volta entrati nelle stanza dei bottoni, i socialisti avrebbero rivoltato tutto come un calzino. Come è andata, con il debito pubblico partito a razzo, lo sappiamo tutti.
Finita l’avventura socialista della stanza dei bottoni, sono arrivati tutti gli altri, tutti con la stessa voglia di mettere mano a leve e pulsanti, per aprire la mistery-box statale come “un scatoletta di tonno”, come si espresse un altro di quelli che ci ha voluto provare.
Oggi, ne abbiamo altri, anche loro baldanzosamente arrivati al mitico traguardo di mettere mano ai famosi bottoni.
Ma, manovrate tutte le leve, schiacciati tutti i pulsanti, e soprattutto visto il quadro (della disperazione), pare che anche loro debbano prendere atto che, come diceva un capocomico dell’avanspettacolo, “bambole, non c’è una lira”, e quindi bisogna tassare, tassare, e tassare, i soliti, ovviamente.