Internet, libertà e responsabilità

Il video di un ragazzo disabile pestato dai “compagni” di classe, e messo in rete, ha scatenato una denuncia, un’occasione per infiammare gli animi degli amanti delle tecnologie che credono di avere un diritto tutto loro per fare quello che vogliono e mettersi sotto ai piedi secoli di civiltà giuridica il cui scopo è tutelare sopratutto i deboli (e non c’è più debole di un disabile) contro la malvagità gratuita o l’arroganza dei potenti e dei ricchi.
Con quest’animo infoiato, i tecno-amanti dimenticano (ammesso che lo sappiano) che chi è responsabile di un’infrastrttura deve prendere tutte le precauzioni per evitare che, dall’utilizzo improprio o negligente dell’infrastruttura, ne derivino danni a terzi.
Infatti è per questa ragione che da McDonald mettono un segnale giallo per indicare che il pavimento è bagnato, ed è per questo che i poliziotti mettono una mano in testa alla persona che viene caricata a bordo di una volante.
Ma i tecno-fili credono che loro, messo un avviso sulle condizioni del servizio digitale, siano esenti da responsabilità o che loro possono applicare, sic et simpliciter, in EU metodi nati negli USA, tanto che ad un convegno di Assintel un avvocato ha scandalizzato l’uditorio di tecnici con l’affermazione che, in materia di e-commerce, “quasi tutto quello che in America si può fare (in Internet o via telefono) in EU è proibito”.
E ne sanno qualcosa Microsoft, che si è presa multe stratosferiche dall’antitrust UE o Oracle che sta in ambasce perchè è sub judice la sua fusione con SUN.
Ora, considerato che è difficile (ma non improbabile) che gli americani mandino di nuovo i marines ad occupare l’Europa, i tecno-infoiati devono necessariamente darsi una calmata e rispettare le leggi europee, oppure formare un loro partito, scendere in campo, farsi eleggere ed emettere delle leggi che prevedano, ad esempio, che se uno lascia il gas aperto e salta in aria un palazzo, lui non ne ha nessuna colpa, povera stella!

Dopo Dubai

Come disse qualcuno: "quando una cosa perde il senso diventa arte", come il cavallo che da motore è diventato equitazione.

Ecco, la finanza è diventata arte, arte astratta, e bisogna capirla per metterci mano.

Mano che possono metterci solo i governi, visto che le banche centrali sono parte importante del problema, più sensibili agli espositori di quadri astratti (le banche) che ai problemi dei visitatori delle gallerie (i risparmiatori ingenui e ingordi).

Ma i vari Bambi Zapatero, l'ombroso Brown, il patetico socialite Sarkozy, l'ex DDR frau Merkel Angela (di nome, ma non di fatto), la dittatura collettiva dei mandarini cinesi e quella specie di Sunshine Family che sta alla casa Bianca, hanno i mezzi culturali per capire questa forma d'arte?

Non credo.

Punizioni non proporzionate

In un asilo israeliano c'era la cattiva abitudine dei genitori di arrivare in ritardo a ritirare i loro cuccioli, con tutte le conseguenze immaginabili sul morale degli addetti, costretti ad aspettare gli sciagurati genitori che se la prendevano comoda.

Bisognava trovare una soluzione e il perfettino di turno s'inventa quella dolorosa: colpire la gente al cuore, cioè al portafoglio, una bella multa per ogni ora di ritardo.

Risultato?

I ritardi e i ritardatari sono aumentati!

E per una ragione molto semplice: l'avere stabilito un prezzo (ragionevole e eguale per tutti) ha permesso alla gente di monetizzare, non tanto uno svantaggio (perdere soldi per una punizione), ma parametrare il prezzo dell'ora di extra-parcheggio con il vantaggio di poter fare il proprio porco comodo.

Questo è il perchè gran parte dei sistemi di dissuasione non funzionano: la gente si fa due conti e spende 10€ al giorno per parcheggiare al centro, nelle strisce blu, o meglio, parcheggiare in quelle gialle, calcolando che il rischio di beccarsi la multa da 60€ è statisticamente molto basso.

Purtroppo, come il direttore dell'asilo in esempio, siamo governati da illusi che credono che gli esseri umani siano una massa di pecoroni e non, com'è in realtá, una bella ghenga di 6 miliardi di volponi.

Alla puttanesca

C’era una volta un re, sovrano di uno staterello ai pie’ di monti maestosi, almeno loro, di maestoso, il re, aveva molto poco, anche perchè aveva casse vuote e tanti debiti.
Cosí il suo primo ministro, avvilito dai conti in rosso, decise di andare a saccheggiare i suoi vicini, pacifici re che da secoli regnavano godendosi ricchezze vere e l’amore dei loro sudditi.
Ma quando uno è reuccio e vuole fare guerra a tanti re, deve avere almeno un potente alleato e, non avendo niente altro da offrire, il primo ministro infilò nel letto di un imperatore la sua smaliziata cuginetta, tale Virginia, di nome ma non di fatto, che, fra un baciozzo e l’altro, convinse l’imperatore ad aiutare il re miserello a conquistarsi un regno, uno vero e degno di questo nome.
E un regno nato grazie alle grazie di una puttana, a puttane comunque doveva finire.

Un mondo finito

Viviamo in un universo infinito ma la nostra vita si svolge in uno spazio finito, in senso geografico, perchè la Terra e quella che è, uno scoglio blu nel nero del cosmo dal quale non possiamo evadere, ma anche in termini di pulsioni intellettuali, perchè non abbiamo più, come aveva il coraggioso Ulisse, mari da navigare, colonne da superare, prodigi da scoprire, e quelli che ci sono rimasti, nella scienza fisica e nella biologia, sono solo per pochi eletti

Anche negli ideali vediamo un mondo finito, perchè omologato, dove solo pochi oscurantisti cercano di resistere al livellamento globale inesorabile.

Prima o poi gli USA avranno una previdenza sociale all'europea, prima o poi la Cina e la Russia dovranno democratizzarsi, prima o poi le teocrazie islamiche dovranno emancipare le donne, e allora ogni angolo del sasso blu sarà uguale a qualsiasi altro.

E forse è questa la ragione profonda della crisi: un appiattimento globale e in ogni campo, compreso quello manageriale, dove l'applicazione pedante e pedestre delle stesse regole apprese negli MBA non può che portare agli stessi risultati, il che non è una buona base per competere.

Bisognerebbe trovare il coraggio di essere diversi ma, come dice don Lisander, uno il coraggio (d'innovare) non se lo può dare.

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