
Non parlo dello zio di Enrico Letta, quello che avrebbe dovuto essere il Visir di SB, consigliandogli strade sicure e percorsi poco accidendati.
Come è andata si sa: SB resta un riccastro con soldi, media e un partito politico maggioritario, a disposizione H24, che mai cancellerà dai libri di storia il bunga-bunga, la nipote di Mubarak e i salemelecchi di 400 hostess a Gheddafi.
Per non parlare di un’economia al collasso, riforme liberali mai fatte, una Pubblica Amministrazione sempre più inefficiente, arrogante e debordante.
Parliamo di Letta Enrico, un giovane quarantenne, un esponente di quella generazione perduta il cui unico desiderio è il potere, nella PA come nel privato.
E lui, Letta Enrico il Giovane Vecchio, l’ha avuto il potere. E pure il supporto del giovane Renzi e di un vecchio Presidente, quello che utilizza ogni mezzo per tenere in piedi un governo d’emergenza che però tutto fa meno che occuparsi dell’emergenza.
La verità è che Letta è un vecchio democristiano (appoggiato da un vecchio comunista) che non vuole distruggere il controllo dal centro di ogni piccolo più piccolo borgo, offrendo al potere locale modo di lamentarsi del governo centrale (che gli impone imposte e tasse cervellotiche) e la scusa per mantenere in vita società partecipate il cui unico scopo è sistemare parenti, amici e benefattori, oltre a dare lavoro a imprese che vivono solo di appalti pubblici.
E se non si taglia questo immondo legame fra centro e periferia, il debito aumenterà sempre di più e la PA centrale e periferica continuerà a difendere la sua esistenza, creando soli problemi a chi produce e fa vivere il paese.
La prova?
La pagliacciata delle città metropolitane e la non eliminazione delle province.
Come dire: siamo oltre il gattopardismo “del tutto deve cambiare perché tutto resti come prima”.
Siamo al tenersi quello di prima aggiungendo mani di stucco su una macchina ormai più ruggine che vernice.