Fin dall'infanzia il bambino mostra una specificitá nel desiderio di collaborare con gli altri umani e, prova di questo, è lo sviluppo del linguaggio il cui scopo primario è una profonda necessità di diventare parte attiva dei gruppi sociali di cui si entra a far parte.
Gli esseri umani, non essendo dotati di potenti mezzi fisici propri (artigli, zanne) dovevano necessariamente collaborare durante la caccia ad animali più forti e più veloci e questo implicava anche una successiva ordinata suddivisione delle spoglie fra i partecipanti alla caccia, le loro famiglie, gli anziani e i bambini.
Un comportamento che non è previsto fra gli animali che cacciano in branco, anche quelli che applicano strategie che sembrano molto elaborate, ma che mostrano una totale mancanza d'intenzionalità nel dopo la caccia quando il primo che cattura la preda tende ad escludere anche gli altri cacciatori.
La collaborazione per condividere i frutti delle attivita è quindi la qualità che distingue gli umani dai loro cugini scimpanzè, gorilla e bonobo e ne viene per conseguenza che gli individui che trattengono per se molto oltre il necessario e/o che non danno ad altri umani la possibilità di vivere (secondo gli standard contingenti) sono in pratica dei pre-umani molto simili alle bestie.
Mese: febbraio 2010
Dirigenti con la gonna
Lo scenario economico, quello già in atto nei paesi che hanno cavalcato la rivoluzione digitale (purtroppo non l’Italia del latinorum e del velinorum!), prevede che, alle aziende organizzate come le quadrate legioni romane, rivolte sopratutto a combattere gli altri, si sostituisca un modello fatto di collaborazione più o meno lasca fra le aziende, grazie alle tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni.
Corruzione naturale
In un paese povero la corruzione è naturale e non eliminabile.
Sono decenni che l’economia è ferma, i denari sono bloccati in immobili e BOT, nessuno investe in nuove iniziative, abbiamo mancata la rivoluzione digitale e non siamo inseriti nel processo di globalizzazione (come ha spiegato Salvatore Rossi di Bankitalia al Corriere il 18/2/2010 presentando il suo libro Controtempo), la torta non cresce più, le fette sono assegnate, la mobilità interclasse è impossibile con mezzi normali.
Si va perciò in politica per fare soldi e si diventa sodali dei politici per fare soldi.
La P.A. centrale e periferica è pletorica e perciò paga stipendi bassi a troppa gente che, per permettersi cose adeguate allo status conquistato, si fa corrompere o crea occasioni per spesa improduttiva, a meno che la sorte non mandi un bel disastro su cui allattare.
È la pubblicità, bellezza!
Al Meet The Media Guru Marco Pratellesi, direttore di Corriere.it, faceva notare che la crisi (di vendite) della stampa è precedente allo sviluppo di Internet, e questo l’ho ricollegato a certe considerazioni sulla perdita del senso della pubblicità, ormai più forma d’arte, (quindi tutta tesa a dare lustro, premi e notorietà ai pubblicitari per un pubblico di pubblicitari) che mezzo per informare i consumatori.
Se è ancora vero (come io credo) che la gente compri il giornale per guardare la pubblicitá, allora è chiaro il rifiuto del supporto che la deve veicolare, perció abbiamo una crisi della pubblicità perchè ha perso il contatto con il popolo proprio come il teatro, diventato troppo cerebrale e sopratutto teatro per i teatranti, causa la diffusione del cinema, come ha ricordato sempre Pratellesi, quale mezzo per raccontare storie.
Ma non è una crisi seria
La Grecia è nei guai, la Spagna pure, il Portogallo sta-per, l’Irlanda affonda lentamente, ma affonda, e l’Italia, more solito, non si capisce se è viva, morta, moribonda o se siamo al solito piangere tanto e fottere alla grande.
Ma qual’è il guaio grande-grande nel quale si dibattono i PIIGS? Un guaio ben noto agl’italici, visto che dall’era craxiana è arrivato ad equivalere il PIL, vale a dire che la Repubblica Italiana ha un debito pubblico enorme, il terzo de mondo, ma con una caratteristica sulla quale fare una riflessione: metà dei creditori sono stranieri ma l’altra metà è fatta da italici, cosa che spesso è ignorata dai media.
Ma cosa significa che uno stato ha debiti con i suoi stessi cittadini? Semplicemente che lo stato non è stato capace di farsi pagare le tasse e ha dovuto fare un debito con quegli stessi cittadini che le tasse non le hanno pagate. Ergo, i cittadini evasori, cioè dei delinquenti, non solo hanno preteso servizi che non hanno pagato, ma addirittura costringono il loro stesso stato a fare debiti minacciandolo con l’arma del voto.
A questo punto emerge chiara la soluzione per almeno metà del debito pubblico: basta stampare carta moneta e comprare dai cittadini i loro titoli di stato.
Ma qualcuno potrebbe dire che mettere sul mercato una massa enorme di denaro potrebbe creare inflazione, un ragionamento sicuramente sbagliato perché i possessori di questi titoli li considerano risparmio, cioè denaro per future necessità, e quindi non si vede perchè, avendo denaro contante in mano, dovrebbero correre a spenderlo.
Quello che può accadere invece e che la gente cercherà di investirli, cosa che può essere un’occasione per le imprese per attrarre capitale per crescere.