Mese: marzo 2023
Mutatis mutandis, così funziona la finanza
Patente digitale, malsana e inutile
Non sempre la EU fa cose buone
Come l’IVA, la patente di guida digitale è un’idiozia
A una parte maggioritaria dei cittadini EU fa comodo essere in una comunità senza confini. Agevola i commerci, in qualche modo è stato un buon supporto per la Pax Americana, ha evitato altre guerre, anche se non è detto che non scoppieranno, un giorno o l’altro, fra i membri dell’Unione.
Anche nella UE, come in tutte le famiglie, c’è qualcuno che sarebbe meglio non avere come parente, ma neppure come conoscente, e sono quei burocrati e/o euro-parlamentari che s’inventano cose che non servono, non possono funzionare, e spesso fanno anche danni gravi. In parole povere, delle vere idiozie.
Una delle idiozie che infesta, da anni, la vita di cittadini EU è, ad esempio, l’IVA, imposta pare inventata da un ragioniere belga, magari uno di quelli che dopo l’ufficio vanno a fare visita a Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles.
E che avendo scoperto che la povera Jeanne Dielman non paga tasse, hanno inventato per lei l’IVA, in modo che quando fa la spesa, Jeanne Dielman la paga sul prezzo del pane, del latte, sui detersivi e sui preservativi.
Perché l’IVA è un’imposta idiota?
- Colpisce tutti indiscriminatamente, quindi colpisce più i poveri che i ricchi
- Fa crescere i prezzi in modo anomalo
- Favorisce l’evasione e l’elusione
- Costringe gli stati membri a mettere in campo un esercito di controllori
- Costringe le aziende ad una burocrazia complessa e costosa
Negli Sati Uniti, ad esempio, l’IVA non esiste, e in qualche città o stato c’è un’imposta sulle vendite, e campano bene lo stesso.
Ma siccome quelli che fanno danno non riposano mai, come la loro prolifica mamma, adesso stanno pensando ad un’altra pensata idiota: la patente di guida digitale, cioè messa sul cellulare.
Quindi, invece di avere il nostro piccolo rettangolino di plastica rosa, avremmo un app (ovviamente pagata con i soldi della EU) che li raccoglie, indovinate un po’? Con l’IVA. E sì, una parte dell’IVA va a BXL per pagare stipendi a gente che spara idiozie, una dietro l’altra.
Per capire perché la patente sul cellulare “in via esclusiva” è un errore, bisogna interrogarsi su cosa è la patente, cioè il documento che certifica che uno può guidare.
Sembrerebbe un certificato, ma se andiamo a vedere l’essenza della patente, così come del brevetto di volo, è un sistema di sicurezza, perché dice che, avendo superato degli esami teorici e pratici di fronte ad un pubblico ufficiale esperto della materia, alla guida di un veicolo non siamo un pericolo per gli altri e per noi stessi.
Ora, essendo un sistema di sicurezza deve rispondere ai requisiti minimale, che sono appunto avere un oggetto, di qualsiasi fattura (carta, plastica, metallo come la Amex Platinum, che permetta a chiunque ed a vista di verificare se una persona è abilitata a guidare un certo tipo di veicoli
Questo con un pezzo di plastica o di carta è immediatamente verificabile, mentre se la si mette in esclusiva su di un cellulare, sorgono tutti i problemi che possono nascere da un apparato che deve prima di tutto essere alimentato, e se poi il sistema pensato a BXL prevede pure un controllo online, ci deve pure essere la rete.
Quindi, non c’è nessun vantaggio, e ci si complica la vita, e si offre anche l’occasione ad hacker e malintenzionati di falsificare un oggetto digitale che è quello più facilmente falsificabile.
Ecco, se proprio volevano fare qualcosa di digitale, potevano pensare che al conseguimento della patente, ma pure di un’altra certificazione o autorizzazione, queste potrebbero essere incorporate in un chip NFC, come quello che sta nella CIE e nel passaporto, che è anche uno standard internazionale nato da. TaDa! Un’esigenza di sicurezza: poter identificare chi prende un aereo o varca una frontiera.
Ed una tecnologia semplice, affidabile, che sposa sia l’esigenza di avere un token in mano al cittadino sia di poterlo leggere, se necessario con un dispositivo NFC.
Questa idea manichea che il cellulare debba diventare tutto non è una cosa sana, se deve diventare una fissazione ed una costrizione: il cellulare è un aiuto, una comodità, ma non può essere una panacea, perchè è un computer, quindi da alimentare e che può essere hackerato e manipolato.
Yellowstone, 1923 e 1883
La scoperta degli americani
Yellowstone è una prolifica serie di 5 stagioni e 47 episodi, – trasmessa da Sky Atlantic e Now TV, e oggi da Paramount Network – che racconta le vicende complesse dei Dutton, una famiglia di allevatori con un ranch nel Montana (un ranch grande come una nostra provincia), in perenne conflitto con costruttori e minatori, nonché dagli indiani della vicina riserva, e dai problemi di convivenza con il parco omonimo, quello che ospita una delle più grandi caldere del pianeta, capace, il giorno della sua eruzione, di condannare la Terra ad anni di freddo e fame, come potrebbe fare anche la caldera dei Campi Flegrei (Napoli), spesso invocata sui campi di calcio come sterminatore di napoletani da certi schiocchini che ignorano che sarebbero anch’essi ricoperti di strati e strati di materiale vulcanico ove mai i loro auspici si avverassero.
Una serie che si svolge ai nostri giorni, con il patriarca, John Dutton (Kevic Costener) che alterna cavallo ed elicottero, vista la vastità dei possedimenti che ha ereditato dai suoi antenati e fondatori del ranch.

Fondatori la cui storia viene narrata in due prequel, il primo è “1883″, che narra la migrazione interna di James Dutton, un ex ufficiale sudista, sconfitto, che abbandona il Tennessee con la sua famiglia per andare verso Ovest, verso le terre vergini dell’Oregon, del Montana, oltre le grandi pianure, che come dice Elsa, sua figlia, non sono un posto dove si può vivere, e dove vivevano solo i Comanche, nutrendosi dei bisonti che vagavano nel mare d’erba e sterpi delle Great Plains

L’altra serie è “1923”, con Helen Mirren ed Harrison Ford, e parla di lotte di contro coloro che vogliono impadronirsi di quello che era stato costruito negli anni precedenti dai Dutton, soprattutto da chi vuole violare la terra per scavarci l’oro e altri minerali.
Quella più interessante da un punto di vista antropologico è “1884” perché – come è stato detto da più parti – mostra la lotta tremenda, a volte tragica dei migranti verso l’Ovest, il famoso Far West dei film western, che c’è anche quì, con la sua violenza, la prepotenza di chi vuole togliere agli altri quel poco che ha, e quindi anche la speranza, che deve essere difesa con altrettanta ferocia in un luogo dove la legge non esisteva ancora o era in formazione.
Ma c’è anche la violenza di un continente molto diverso da quello da cui vengono i migranti tedeschi e slavi scappati da un’Europa dove vige ancora il servaggio, che impedisce anche di poter fare un bagno in un fiume, a chi deve solo obbedire e spaccarsi la schiena per un signorotto locale.
Tutto è raccontato con estrema crudezza: la violenza degli uomini, la violenza della natura, le difficoltà e la morte in agguato in un ambiente sconosciuto dove erbe malefiche e serpenti a sonagli sono in agguato, le lotte intestine al gruppo di migranti, che deve condividere lo stesso percorso, perché andare da soli e andare verso il nulla.
Ecco, oltre la storia narrata, che ha momenti anche di vero lirismo, come quando Elsa, la figlia 18enne di James Dutton, di fronte all’ennesimo conto presentato dalla natura selvaggia delle Great Plains, dice “per quanto uno possa amare la terra (the land), la terra non ti ricambierà mai” come sa ognuno che di terra vive, e come dovremmo capire noi che non solo non amiamo la Terra, ma la violentiamo bene sapendo che Lei, Gaia, non solo non ci ricambia nè con odio né con amore, ma se decide di farlo, può annichilirci con tornado, terremoti, eruzioni, onde che spazzano fuscelli di migranti, come in “1833” spazza via cose e vite di chi ha attraversato l’Europa, si è imbarcato per l’America e cerca disperatamente di avere un suo pezzo di terra da coltivare, arare, usare come pascolo, padrone sulla sua terra, pronto a difenderla con le armi.

Quando pensiamo agli americani, un popolo che esiste da poche centinaia di anni, dovremmo traguadare le loro azioni attraverso questa battaglia per colonizzare una terra ostile, feconda ma matrigna, dove la violenza di altri che non vogliono costruire, ma appropriarsi degli altri, viene ripagata con altrettanta violenza.
E lo dovrebbero fare anche quelli come i cinesi, i russi, gli iraniani che pensano che potrebbero osare anche di lanciare un paio di atomiche su qualche popolosa città americana, sicuri che poi gli americani, terrorizzati non osino lanciare una rappresaglia con armi conosciute e forse con quelle che nessuno conosce.
Non per niente, nell’iconografia rivoluzionaria americana c’è la Godsden Flag, che mostra un crotalo pronto a colpire, ed il motto “”DONT TREAD ON ME”, cioè “non calpestarmi”, (perché il serpente ti attaccherà in risposta).
Milioni di persone sono andate via dall’Europa perché erano calpestate, hanno cercato con sofferenza un posto dove essere “lasciate in pace”, come ha scritto William Faulkner in “Privacy” dove spiega che il “sogno americano” era di essere lasciati da soli, sia come singoli, sia come nazione, “difesi da due oceani, da una ghiaccia a nord e da un deserto a sud” (Otto von Bismark).
Ma, a cominciare dagli inglesi, per passare poi per i pirati barbareschi del nord Africa, per poi coinvolgerli in due guerre mondiali, continuando con il massacro del 9/11, pare che gli altri non vogliono capire che è meglio non andare a mettere le mani sotto alle pietre, perché ci puoi trovare un crotalo o un’arma che neppure immagini che potesse esistere.
A qualcuno non piace? Basta non immischiarsi nella loro vita, né coinvolgerli nelle vostre.
Resta però il fatto che è la nazione più avanti in ogni settore della scienza e della tecnica, che stabilisce i fenomeni mainstream, ed è ancora oggi il posto dove si può realizzare un progetto, perché c’è altra gente che ammira chi riesce e da una mano a chi da una mano,
4 giorni di lavoro, pari stipendio
Il governo sposa l’idea della settimana corta
La notizia arriva dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, quello retto da Adolfo Urso, che avrebbe sposato l’idea del segretario della Cgil, Maurizio Landini.
Un provvidimento che avrebbe un grande impatto sull’organizzazione delle aziende, già costrette a ripensare i tempi del lavoro causa smart working, home working e tante nuove forme di gestione dei lavoratori e soprattutto dei processi.
L’esperimento condotto in UK, ha dimostrato che la produttività non solo non cala, ma ci sono aumenti dovuti alla maggiore efficienza ed efficacia del nuovo modo di organizzarsi.
Ma un grande impatto lo avrà anche sull’ecologia, eliminando una giornata intera di traffico, di pendolarismo, di stress delle strutture e delle persone.
Sono infatti le persone che avranno i maggiori benefici, con un migliore equilibrio vita – lavoro.
D’altra parte, l’accelerazione in automazione, che oggi può impennarsi grazie alle AI, non richiede più un lavoro di tipo fordistico (anche fra i colletti bianchi) ma un lavoro per obiettivi.