4 giorni di lavoro, pari stipendio

Il governo sposa l’idea della settimana corta

La notizia arriva dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, quello retto da Adolfo Urso, che avrebbe sposato l’idea del segretario della Cgil, Maurizio Landini.

Un provvidimento che avrebbe un grande impatto sull’organizzazione delle aziende, già costrette a ripensare i tempi del lavoro causa smart working, home working e tante nuove forme di gestione dei lavoratori e soprattutto dei processi.

L’esperimento condotto in UK, ha dimostrato che la produttività non solo non cala, ma ci sono aumenti dovuti alla maggiore efficienza ed efficacia del nuovo modo di organizzarsi.

Ma un grande impatto lo avrà anche sull’ecologia, eliminando una giornata intera di traffico, di pendolarismo, di stress delle strutture e delle persone.

Sono infatti le persone che avranno i maggiori benefici, con un migliore equilibrio vita – lavoro.

D’altra parte, l’accelerazione in automazione, che oggi può impennarsi grazie alle AI, non richiede più un lavoro di tipo fordistico (anche fra i colletti bianchi) ma un lavoro per obiettivi.

La povertà deve essere eliminata

Conviene a tutti

Come ha fatto Singapore a passare da un reddito pro capite di $500 del 1965 ai $73,000 di oggi?

Quando l’isola di Singapore divenne indipendente dalla Malaysia, nel 1965, era una piccola isola di 728 kmq, abitata da 1,8 milioni di persone, con bassa scolarità, grandi sacche di povertà, enormi problemi abitativi ed un reddito pro capite di $500/ anno

Nel 2021, Singapore aveva 5,9 milioni di abitanti ed un reddito pro capite di $73,000, con un incremento del 176% in mezzo secolo.

Un effetto di profonde riforme, rivolte soprattutto alla popolazione, in modo da far crescere il “capitale sociale” e far diventare l’isola attrattiva per investimenti nonché mettere in moto iniziative locali.

Le decisioni e le riforme più importanti, che hanno portato a questo risultato, sono state le riforme dell’istruzione e i grandi investimenti nei talenti locali, le riforme abitative che hanno fatto sì che oltre il 90% della popolazione diventasse proprietaria di immobili (rispetto al 29% del 1970!), le strutture retributive competitive: è stato il primo governo in assoluto a retribuire i lavoratori pubblici in modo simile al settore privato, con un approccio basato sulle performance economiche della nazione (come ha più volte suggerito il Nobel Robert Shiller).

Si è messa l’enfasi sulla coltivazione del capitale umano, perché se si elevano i cittadini dall’analfabetismo e dalla povertà, essi diventano parte attiva dell’economia e la fanno progredire.

Tutti coloro che in Italia vogliono mantenere la gente nella povertà (e ne godono!) sono i nemici di loro stessi, perché mantenere milioni di persone nella povertà, o tenerne altri milioni a rischio di diventare poveri, non fa crescere l’economia, che deve vivacchiare con produzioni e servizi con scarso valore aggiunto, e quindi in competizione con i paesi ancora più poveri.

Aver distrutto in modo sistematico la scuola (pagando poco gli insegnanti e con scuole fatiscenti o inesistenti) impedisce a larghe fasce di popolazione giovanile di poter accedere all’istruzione, soprattutto quella terziaria e superiore, e questo non consente alle organizzazioni di poter disporre di persone di elevate competenze che fanno crescere le aziende ed il valore aggiunto prodotto.

Aver consentito il degrado del centro di grandi città meridionali, per scopi puramente ideologici (mantenere l’economia del vicolo, sic!) e aver lasciato degradare enormi periferie costruite male, senza servizi e senz’anima, mortifica la gente che ci abita, e che finisce in quelle che la sociologia chiama “poverty trap”, cioè un luogo fisico, anche senza barriere, ma che impedisce alla gente di crescere ed evolversi.

Oggi più che mai, questo paese avrebbe bisogno di introdurre lo UBI (cioè il reddito universale di base) accompagnato dagli UBS, cioè i servizi di base per tutti e gratuiti, come la scuola (veramente gratuita), i trasporti locali, la connettività, l’elettricità e un forte piano per dare a tutti un’abitazione decente in un contesto che non sia una trappola della povertà.

Le risorse ci sono (basta abolire gli sprechi e la burocrazia) e conviene a tutti, non solo ai poveri

Perché investire nelle cripto

Una premessa: le cripto non hanno nessun valore intrinseco, ma solo quello di realizzo, cioè valgono qualcosa quando vengono cedute ad altri in cambio di valuta a corso legale di una qualsiasi nazione, oppure di beni o servizi.

In questo sono come gli immobili, il cui valore è una stima che si concretizza solo se vengono venduti, e come qualsiasi altro investimento in strumenti finanziari e/o assicurativi.

L’unica differenza fra le cripto, gli immobili e gli altri strumenti finanziari è che gli ultimi due possono essere dati in garanzia per avere un prestito, ma forse già accade o accadrà per le cripto.

Ma perché si può investire in cripto?

Perché ormai vivete in una società grassa, molto pingue, tant’è vero che la prima causa di morte sono le malattie da benessere (diabete, malattie cardio vascolari, fumo, alcol, STD, incidenti di auto).

E in una società che non ha il problema di mangiare, e che, grazie alla pillola, ha sdoganato ogni tipo di attività e perversione sessuale, la noia è il grande problema.

E la cura per la noia è il gioco, da secoli.

Anzi, il gioco, come ha scritto Huizinga è un elemento fondamentale per lo sviluppo degli animali superiori e degli umani.Si gioca per addestrarsi, da giovani, ma poi si gioca anche per passare il tempo.

E fare trading con gli strumenti classici o con le cripto ha la stessa motivazione: giocare e basta.

Perchè il fatto che ci sia una posta in gioco, l’aumento di valore delle cripto, non ha nessuna importanza.

Infatti, pare che il piacere maggiore sia di hodlare, che poi sarebbe holdare, cioè trattenersi dal vendere, un po’ come chi si trattiene dall’eiaculazione che fa finire l’altro tipo di gioco, l’erotismo, che però non è per tutti, in quanto richiede cultura, intelligenza, grazia e bellezza.

Invece, giocare con il denaro è per belli e per brutti.

Quindi, se avete denaro che non vi serve, – e statisticamente è sicuro che ne avete – potete anche cominciare a giocare a questo nuovo gioco che forse anche le classi dirigenti incentivano (attraverso il denaro che le banche centrali immettono nell’economia) perché è un modo di tenere buona la gente.

E questo è un altro buon motivo per comprare cripto: le banche centrali non possono più smettere di inondare il mercato di denaro, che è diventato un Monopoli dove i soldi non finiscono mai.

Di conseguenza, la gente ha sempre più denaro per entrare in questi nuovi mercati ed il valore si alza, così come sta accadendo nei mercati tradizionali delle azioni e delle materie prime.

Quindi, è un gioco con pochi rischi, se vi giocate quello che non vi serve.

Avvertenze: io non gioco, a nessun gioco, li trovo tutti noiosi.

La questione ritorno in ufficio

Ci sono aziende che vogliono che la gente torni in ufficio, ci sono quelle che si sono già organizzate per il lavoro ibrido, e chi ha già deciso di avviarsi decisamente a ridurre drasticamente il lavoro in ufficio.

Dal lato dei lavoratori, ci sono gli stessi atteggiamenti: c’è chi non vuole proprio tornare, perché ha scoperto i vantaggi di non dover andare tutti i giorni a convivere con estranei, a combattere con estranei nelle strade e nei vagoni puzzolenti dei mezzi di trasporto.

Altri lavoratori, soprattutto i giovani che credono il loro lavoro sia visto dall’azienda come indispensabile e degno di aumenti e promozioni, che corrono a vaccinarsi perché vogliono il passaporto per uscire di casa e chiudersi nel loro cubicolo all’interno di open-spaces che forse verranno eliminati per un ritorno ad uffici chiusi, onde evitare contagi.

Le aziende che vogliono il ritorno in ufficio sono di due tipi: militarizzate (e tossiche) e quelle che non hanno la testa o il denaro per automatizzare.

Le aziende militarizzate sono quelle dove c’è l’ossessione per il controllo dei lavoratori, che spesso è dovuta anche ad un’organizzazione del lavoro caotica ed episodica, senza pianificazione, aziende molto conflittuali, spesso caratterizzate da rapporti tossici sia in verticale sia fra colleghi, ed anche con gli stake-holders.

Il secondo tipo di aziende sono quelle che non hanno la testa e/o i denari per automatizzare il flusso del lavoro, per cui il lavoratore, inchiavardato al remo, mentre il capetto batte il tempo e minaccia la frusta, è l’unico modo che hanno per tentare di sopravvivere fino all’inevitabile acquisizione da parte di un concorrente o il fallimento.

In definitiva, chi non può, non sa o non vuole approfittare di questo superenalotto che è la pandemia, per creare finalmente un’azienda snella, automatizzata e che possa funzionare anche senza la gente in presenza, è sicuramente destinata a un futuro molto incerto, per cui, il lavoratore furbo farebbe bene a cercarsi un altro posto oggi prima di finire a mendicarlo domani.

Nani in crisi

Non parlo mai di politica italiana. Non è interessante, e i politici sono tutti abbastanza squallidi e impreparati.
 
Quindi, questa non è una difesa del governo in carica, che è più o meno come gli altri precedenti: incompetenza, nessun progetto, e nessuna idea di cosa accade nel paese e nel mondo.
 
Ciò premesso, non mi pare che la bella frenata dell’industria di questi giorni si possa imputare al governo attuale, che poco fa e poco incide sul’economia, se non continuando a seminare paura fra chi dovrebbe spendere e investire.
 
Ma questo lo hanno fatto anche i governi precedenti, dallo scoppio della crisi globale.
 
I problemi dell’industria italiana sono strutturali: aziende individuali e individualistiche, affette perciò da nanismo dimensionale, finanziario e commerciale.
 
E siccome dipende da una base antropologica (paura dell’altro e del futuro, ricerca ossessiva delle sicurezza), c’è poco da sperare nei singoli imprenditori, e l’unica mossa per smuovere il pantano sarebbe che lo Stato attivasse delle iniziative (che non siano la solita cementificazione) per avviare un meccanismo positivo di generazione di ricerca, know-how e brevetti per produrre prodotti e servizi ad alto valore aggiunto.
 
Perché le cose a basso valore aggiunto le possono fare tutti, in Europa e nel mondo.
 
Ma siccome manca anche una classe dirigente, cioè una entità coesa che vive nello stesso posto e condivide la stessa preparazione e cultura, manca da sempre qualcuno sul ponte di comando, né più né meno come al tempo delle signorie, dei comuni, dei principati e delle città stato: tante bande locali che agiscono solo per il proprio tornaconto personale e familiare.
 
Prendersela con gli attuali manovratori (fra cui 2 che non sono neppure laureati) è buttare la croce addosso al primo cireneo che passa dalle parti di Palazzo Chigi, mentre il problema è generato dall’intera popolazione che non si rende contro e, seppure se ne rendesse conto, non vuole cambiare.