I governi del non fare

Lazy Seals

Abbiamo avuto per anni un governo del PDL basato su un’ampia maggioranza e oggi abbiamo un governo Letta che addirittura ha l’appoggio pure del PD: in pratica un governo dittatoriale (in senso buono).

Risultati? L’economia sta morendo, la disoccupazione sale, il paese è ingessato, senza nessuna possibilità di fare la più semplice delle modifiche per affrontare l’uragano autunnale prossimo venturo.

All’occhio superficiale sembrerebbe che tutto sia bloccato dai problemi carcerari di Berlusconi, ma la verità è che la classe dirigente (non solo quella politica) ha due grossi problemi:

– non ha idea di cosa stia accadendo nel mondo
– non sa com’è fatto il paese che amministra

Questo comporta che chi governa non conosce la macchina economica e perciò incapace di trovare una qualsiasi soluzione; è come se uno dovesse tradurre i Rigveda dal sanscrito senza conoscerne la lingua.

È questa è la base dell’immobilismo di Berlusconi, ieri, e di Letta, oggi.

Ma c’è un ulteriore elemento che impedisce qualsiasi azione governativa: la paura di toccare gli interessi di un gruppo qualsiasi che cominci a strepitare.

Perché l’economia italica è oggi in gran parte fatta d’imprese e di lavori marginali, attività e impieghi di mera sopravvivenza (esclusi quei pochi settori e quelle poche aziende che vanno bene).

Ormai tutti, – l’avvocato, il commerciante, il geometra, l’assicuratore, l’artigiano, il dipendente pubblico o quello privato, il pensionato e il padrone di casa – sono a rischio di chiudere, perdere la rendita o il lavoro, se c’è un aumento di tasse, una legge più restrittiva, una modifica migliorativa che porti tagli, investimenti da fare o un’efficiente lotta all’evasione.

E questo implica che un qualsiasi intervento di aggiustamento e/o razionalizzazione porta lo scompiglio in certi settori, distrugge attività, produce disoccupazione, elimina certezze e quindi fa scemare pure il coraggio per avviare nuove imprese, investire, trasferirsi (se non all’estero).

Lo dimostra la vicenda dell’abolizione delle Province, che tutti vogliono e nessuno farà, perché comunque si tratta di abbattere una vacca da cui a vario titolo allattano in tanti, magari poco, ma che comunque allattano.

E di esempi se ne potrebbero fare a vagonate.

Ma a che serve?

A niente. Solo tempo perso, visto che, elencare cosa sia possibile fare, è solo una bella certificazione che siamo gestiti da governi del non fare.

Uominicchi e innovazione

rubber ducks papere di gomma
Paperette

Come diceva Sciascia, ci sono uomini, uominicchi e quaquaraquá.

Una folla di quaquaraquà, gente che si agita, parla e apre il becco giusto per far sapere al resto del pollaio che pure loro esistono, povere papere strarnazzanti, il cui unico scopo é finire al forno, cotta a puntino per il padrone.

Gente che non conta niente, praticamente fungibile, una commodity per il datore di lavoro che, o ti chiami Fantozzi o ti chiami Filini, alla fine resti una specie di fotocopiatrice che va a caffé, tramezzini e gazzetta dello sport invece che a toner e corrente elettrica.

Macchine con nome e cognome invece che un numero di serie e modello.

Macchine che vanno dal medico invece che dal meccanico, ma in fondo macchine a due gambe e poco cervello.

Molta di questa gente potrebbe già essere stata sostituita ed eliminata dalle macchine vere, anche in maniera molto veloce, molto più rapida di quanto ci sia voluto per mettere i robot a verniciare le automobili alla catena.

Perché non avviene? Perché gli uominicchi, quelli che hanno un piccolo potere, – il capo fabbrica, il capo ufficio, il capo ospedale -, vivono di questa sindrome della portaerei: loro, dalla loro scrivania da capo-di-qualcosa, godono nel vedere le papere che sul ponte di volo si fanno il mazzo per loro, papere rispettose delle procedure che mettono in fila allo sportello altre papere più papere di loro, papere che si sottopongono a inutili lungaggini burocratriche per soddisfare il piccolo delirio di potere di un uominicchio che si sente “realizzato”.

Ecco a chi dobbiamo l’arretratezza del paese: agli uominicchi che non innovano, perché l’innovazione distruggerebbe quest’albagia d’essere capo-qualcosa, non importa se per una funzione assolutamente modesta e insignificante, l’importante è che dia al capetto la gloria effimera di lanciare tanti bei chicchirichì al mondo, un mondo che se ne fotte, visto che tu, caro capetto, conti solo come escort di papere al pascolo… che non è poi un gran realizzarsi.

Senza speranza

Tom Hanks in Cast Away
Tom Hanks in Cast Away

Pare che per essere apprezzati in rete bisogna scrivere cose belle e positive, insomma, fare il Berlusconi, che illude quel che resta della classe medio alta che saranno forever rich e magari, con un po’ di botulino, pure forever young.

Oppure fare lo Scalfari, che su Repubblica illude i poveracci della classe medio bassa che il sol dell’avvenire, renziano o lettiano, li porterà in un futuro migliore.

O sproloquiare come Grillo e Casaleggio, che credono che l’agorà digitale possa sanare uno Stato malato di bulimia fiscale e mani bucate.

Purtroppo non reco buone notizie: la situazione economica italica è senza speranze, possiamo solo peggiorare.

Se ci va bene, possiamo galleggiare per anni in una stagnazione senza sbocchi.

Un  po’ come Tom Hanks in Cast Away: una lunga attesa di un miracolo.

Non vi piace? Non ci posso fare niente. E neppure voi.

A meno che non sappiate fare qualcosa che possa servire in un paese straniero.

Non vi sono simpatico? Non devo piacere a tutti.

Mi basta che quelli che possono salvarsi se ne vadano in un posto migliore.

Pensione fai da te? Ahi, ahi, ahi,ahi,ahi!

In fila per un pasto
Breadline Depicted at FDR Memorial

Ad un certo punto della storia finanziaria del mondo, qualche esperto ha “scoperto” che i sistemi pensionistici gestiti dagli stati non erano  più adatti per garantire una serena vecchiaia al lavoratore, ed è nata la moda delle previdenza complementare integrativa che, in alcuni paesi, è diventata addirittura sostitutiva della pensione pubblica o almeno la parte più importante.

Un’idea che aveva, ed ha, il supporto degli ultraliberisti che vorrebbero che ognuno faccia da se per se, senza che lo stato s’immischi nella previdenza.

In sostanza gli ultra-liberisti si aspettano che il lavoratore metta da parte un pezzo di retribuzione in gestioni finanziarie che investano poi in vario modo la massa di soldi amministrata, del tipo: azioni, titoli, obbligazioni e magari pure in operazioni, più rischiose, ma con alti guadagni.

A parte il fatto che questo sistema prevede che ci sia un gestore che vuole guadagnare (e non poco), per consentire l’accumulo che poi sarà il patrimonio da cui l’anziano ricaverà la rendita, tutto il meccanismo funziona solo se il gestore è in grado di far crescere il capitale più dell’inflazione futura.

Ma questo meccanismo è stato distrutto dalla crisi finanziaria, e sta provocando buchi nei fondi pensione americani, per cui molti lavoratori si ritroveranno solo con la pensione federale (se ce l’hanno!) e i sogni di svernare da vecchi in Florida o alle Bahamas, finiti in una bella bolla finanziaria.

Ora d0v’era il problema che i fautori delle pensioni fai-da-te hanno nascosto?

Nel semplice fatto che non è possibile che tutti gli attori finanziari guadagnino: qualcuno guadagna molto, qualcuno perde molto, molti galleggiano.

Un meccanismo malato in partenza, che non poteva tecnicamente mantenere le promesse, ed ora città come Detroit e Chicago sono fallite, o stanno per fallire, proprio per la gestione fai-da-te delle pensioni dei loro dipendenti.

La verità è che un sistema previdenziale funziona bene se la platea di chi contribuisce è molto vasta – come accade con i sistemi previdenziali europei dove buona parte dei lavoratori è obbligata per legge ad iscriversi alla previdenza pubblica – e anche per evitare casi come quelli  accaduti in Italia di gestioni previdenziali autonome, poi saltate e accollate all’INPS, che però non ha mai incassato i contributi di questi lavoratori.

E di questi casi di enti previdenziali autonomi che falliscono ne vedremo ancora, sopratutto se la platea di chi contribuisce a queste piccole gestioni si assottiglia o guadagna troppo poco.