Pensione fai da te? Ahi, ahi, ahi,ahi,ahi!

In fila per un pasto
Breadline Depicted at FDR Memorial

Ad un certo punto della storia finanziaria del mondo, qualche esperto ha “scoperto” che i sistemi pensionistici gestiti dagli stati non erano  più adatti per garantire una serena vecchiaia al lavoratore, ed è nata la moda delle previdenza complementare integrativa che, in alcuni paesi, è diventata addirittura sostitutiva della pensione pubblica o almeno la parte più importante.

Un’idea che aveva, ed ha, il supporto degli ultraliberisti che vorrebbero che ognuno faccia da se per se, senza che lo stato s’immischi nella previdenza.

In sostanza gli ultra-liberisti si aspettano che il lavoratore metta da parte un pezzo di retribuzione in gestioni finanziarie che investano poi in vario modo la massa di soldi amministrata, del tipo: azioni, titoli, obbligazioni e magari pure in operazioni, più rischiose, ma con alti guadagni.

A parte il fatto che questo sistema prevede che ci sia un gestore che vuole guadagnare (e non poco), per consentire l’accumulo che poi sarà il patrimonio da cui l’anziano ricaverà la rendita, tutto il meccanismo funziona solo se il gestore è in grado di far crescere il capitale più dell’inflazione futura.

Ma questo meccanismo è stato distrutto dalla crisi finanziaria, e sta provocando buchi nei fondi pensione americani, per cui molti lavoratori si ritroveranno solo con la pensione federale (se ce l’hanno!) e i sogni di svernare da vecchi in Florida o alle Bahamas, finiti in una bella bolla finanziaria.

Ora d0v’era il problema che i fautori delle pensioni fai-da-te hanno nascosto?

Nel semplice fatto che non è possibile che tutti gli attori finanziari guadagnino: qualcuno guadagna molto, qualcuno perde molto, molti galleggiano.

Un meccanismo malato in partenza, che non poteva tecnicamente mantenere le promesse, ed ora città come Detroit e Chicago sono fallite, o stanno per fallire, proprio per la gestione fai-da-te delle pensioni dei loro dipendenti.

La verità è che un sistema previdenziale funziona bene se la platea di chi contribuisce è molto vasta – come accade con i sistemi previdenziali europei dove buona parte dei lavoratori è obbligata per legge ad iscriversi alla previdenza pubblica – e anche per evitare casi come quelli  accaduti in Italia di gestioni previdenziali autonome, poi saltate e accollate all’INPS, che però non ha mai incassato i contributi di questi lavoratori.

E di questi casi di enti previdenziali autonomi che falliscono ne vedremo ancora, sopratutto se la platea di chi contribuisce a queste piccole gestioni si assottiglia o guadagna troppo poco.

La fine del lavoro

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Anche Krugman l’ha capito, in questo articolo del New York Times , dove cita un libro, Race Against The Machine,  che in America fa discutere, e da noi, ovviamente, non si conosce neppure. Insomma, e per farla breve, anche il Premio Nobel per l’economia Paul Krugman dice che siamo al punto in cui la tecnologia elimina i posti di lavoro (che passano alle macchine) senza crearne di nuovi , neanche in altri settori.

Il tutto con un’accelerazione dovuta al fatto che l’efficienza dei processi organizzativi e produttivi, generata dall’uso delle macchine, produce più reddito che conviene impiegare in altre macchine piuttosto che in posti di lavoro.

In un certo senso le macchine ormai si riproducono e trovano nuovi spazi dove allargarsi, e non è detto che questi luoghi debbano essere per forza nel cosiddetto mondo sviluppato.

In Africa, ad esempio, la rivoluzione delle comunicazioni via cellullare e smartphone, ha creato un ecosistema di banca virtuale che non ha bisogno di sportelli bancari (e relativi impiegati) in ogni villaggio, ma tutto si svolge da utente a utente tramite il loro cellulare; insomma, in uno solo passo, gli africani sono più avanti del Nord del mondo, e questo anche grazie al fatto che non ci sono autorità centrali che bloccano il mobile payment, perché danneggerebbe il mercato delle banche e i posti di lavoro dei bancari.

I massaggiatori del LIBOR

Così i giornali inglesi chiamano quei banchieri sorpresi (dagli americani) a massaggiare il LIBOR.

Un massaggio che non ha niente di sessuale, come quelli che fanno in certi centri benessere tailandesi, e neppure terapeutico, come quelli che le signore si fanno fare a giugno per far dimunire la ciccia da peperonate e da troppo aperitivi shakerati.
Massaggiare il LIBOR, ma anche l’EURIBOR, è un modo pittoresco per definire una pratica truffaldina: alcune banche inglesi (infatti la L di LIBOR sta per London) truccavano il valore di questo indice per truffare altre banche e anche i consumatori.
In pratica, alterando i due indici, su cui sono basati prestiti e mutui, si procuravano un ingiusto guadagno ai danni di persone e istituzioni che credevano sulla bontà e l’imparzialità di chi gli indici li gestisce e che invece partecipava attivamente al gioco per procurarsi guadagni miliardari.
Qualcuno si è dimesso. A qualcuno la Regina ha tolto il titolo di Sir. Altri corrono il rischio di essere incriminati dalla magistratura inglese e per altri c’è la richiesta del Dipartimento della Giustizia americano di estradarli negli Stati Uniti.
Ma la conseguenza più grave è l’uragano di cause che sta per abbattersi sulle quattro banche inglesi coinvolte (Barclays, RBS, HSBC, Lloyd Banking Group). Cause che chiunque ha un mutuo o un invetsimento collegato a questi indici può fare. E sono risarcimenti per miliardi in qualsiasi valuta. Un colpo che può distruggere l’intera industria finanziaria londinese.

Comma 22 in Italia

Se un italico si accorge che gli hanno clonato la carta di credito inizia un percorso ad ostacoli per superare il mare di comma 22 sparsi a piene mani da burosauri pubblici e privati.

1) deve andare in questura a fare la denuncia

2) con la copia della denuncia va poi in banca

3) in banca gli dicono che il funzionario di polizia gli ha dato l’originale invece della copia

4) l’originale non può essere accettato dalla banca perché l’assicurazione non paga

5) nemmeno una fotocopia può essere accettata

6) l’italico deve ritornare in questura

6) se il funzionario non c’è, e se si chiede quando tornerà, gli dicono che dirlo è contro la privacy

7) allora si chiama il direttore della banca minacciando di togliere il conto sostanzioso

8) dopo due giorni la banca vi ridà la carta