Categoria: banche
Mutatis mutandis, così funziona la finanza
Pensione fai da te? Ahi, ahi, ahi,ahi,ahi!
Ad un certo punto della storia finanziaria del mondo, qualche esperto ha “scoperto” che i sistemi pensionistici gestiti dagli stati non erano più adatti per garantire una serena vecchiaia al lavoratore, ed è nata la moda delle previdenza complementare integrativa che, in alcuni paesi, è diventata addirittura sostitutiva della pensione pubblica o almeno la parte più importante.
Un’idea che aveva, ed ha, il supporto degli ultraliberisti che vorrebbero che ognuno faccia da se per se, senza che lo stato s’immischi nella previdenza.
In sostanza gli ultra-liberisti si aspettano che il lavoratore metta da parte un pezzo di retribuzione in gestioni finanziarie che investano poi in vario modo la massa di soldi amministrata, del tipo: azioni, titoli, obbligazioni e magari pure in operazioni, più rischiose, ma con alti guadagni.
A parte il fatto che questo sistema prevede che ci sia un gestore che vuole guadagnare (e non poco), per consentire l’accumulo che poi sarà il patrimonio da cui l’anziano ricaverà la rendita, tutto il meccanismo funziona solo se il gestore è in grado di far crescere il capitale più dell’inflazione futura.
Ma questo meccanismo è stato distrutto dalla crisi finanziaria, e sta provocando buchi nei fondi pensione americani, per cui molti lavoratori si ritroveranno solo con la pensione federale (se ce l’hanno!) e i sogni di svernare da vecchi in Florida o alle Bahamas, finiti in una bella bolla finanziaria.
Ora d0v’era il problema che i fautori delle pensioni fai-da-te hanno nascosto?
Nel semplice fatto che non è possibile che tutti gli attori finanziari guadagnino: qualcuno guadagna molto, qualcuno perde molto, molti galleggiano.
Un meccanismo malato in partenza, che non poteva tecnicamente mantenere le promesse, ed ora città come Detroit e Chicago sono fallite, o stanno per fallire, proprio per la gestione fai-da-te delle pensioni dei loro dipendenti.
La verità è che un sistema previdenziale funziona bene se la platea di chi contribuisce è molto vasta – come accade con i sistemi previdenziali europei dove buona parte dei lavoratori è obbligata per legge ad iscriversi alla previdenza pubblica – e anche per evitare casi come quelli accaduti in Italia di gestioni previdenziali autonome, poi saltate e accollate all’INPS, che però non ha mai incassato i contributi di questi lavoratori.
E di questi casi di enti previdenziali autonomi che falliscono ne vedremo ancora, sopratutto se la platea di chi contribuisce a queste piccole gestioni si assottiglia o guadagna troppo poco.
La fine del lavoro
Anche Krugman l’ha capito, in questo articolo del New York Times , dove cita un libro, Race Against The Machine, che in America fa discutere, e da noi, ovviamente, non si conosce neppure. Insomma, e per farla breve, anche il Premio Nobel per l’economia Paul Krugman dice che siamo al punto in cui la tecnologia elimina i posti di lavoro (che passano alle macchine) senza crearne di nuovi , neanche in altri settori.
Il tutto con un’accelerazione dovuta al fatto che l’efficienza dei processi organizzativi e produttivi, generata dall’uso delle macchine, produce più reddito che conviene impiegare in altre macchine piuttosto che in posti di lavoro.
In un certo senso le macchine ormai si riproducono e trovano nuovi spazi dove allargarsi, e non è detto che questi luoghi debbano essere per forza nel cosiddetto mondo sviluppato.
In Africa, ad esempio, la rivoluzione delle comunicazioni via cellullare e smartphone, ha creato un ecosistema di banca virtuale che non ha bisogno di sportelli bancari (e relativi impiegati) in ogni villaggio, ma tutto si svolge da utente a utente tramite il loro cellulare; insomma, in uno solo passo, gli africani sono più avanti del Nord del mondo, e questo anche grazie al fatto che non ci sono autorità centrali che bloccano il mobile payment, perché danneggerebbe il mercato delle banche e i posti di lavoro dei bancari.
I massaggiatori del LIBOR
Così i giornali inglesi chiamano quei banchieri sorpresi (dagli americani) a massaggiare il LIBOR.
Comma 22 in Italia
Se un italico si accorge che gli hanno clonato la carta di credito inizia un percorso ad ostacoli per superare il mare di comma 22 sparsi a piene mani da burosauri pubblici e privati.
1) deve andare in questura a fare la denuncia
2) con la copia della denuncia va poi in banca
3) in banca gli dicono che il funzionario di polizia gli ha dato l’originale invece della copia
4) l’originale non può essere accettato dalla banca perché l’assicurazione non paga
6) l’italico deve ritornare in questura
6) se il funzionario non c’è, e se si chiede quando tornerà, gli dicono che dirlo è contro la privacy
7) allora si chiama il direttore della banca minacciando di togliere il conto sostanzioso
8) dopo due giorni la banca vi ridà la carta