Renzi, Excel e il PowerPoint

M’è capitato una volta di parlare con un tizio che gestiva due parchi container e che voleva automatizzarne la gestione.

Come mi spiegò, è un enorme impegno stabilire come i container vadano accatastati in modo ottimale per ridurne al minimo la movimentazione, perché ogni spostamento comporta costi, ritardi, errori e tempi di manovra.excel truffa

Esaminata la questione, messi due numeri in croce, venne fuori, che quel che si voleva, sarebbe costato una cifra non indifferente, una cifra che fece sbiancare il tizio che s’era sbilanciato col suo capo pensando che tutto si poteva fare con il solo Excel.

E questo è uno dei problemi di aver messo in mano un PC a qualsiasi impiegatuccio che pensa che l’essersi impadronito del funzionamento di un software basico, gli permetta poi, con altrettanta facilità e costo, di risolvere problemi ben più corposi e complessi.

E la stessa sindrome che hanno i maniaci del PowerPoint, quelli che credono che, rappresentato un fatto con un po’ di slide colorate e qualche animazione carina, possa banalizzarne la successiva esecuzione.

Pure il buon Renzi, esponente della power elite fiorentina (una delle poche che ancora non s’era cimentata nel riavviare nave Italia), crede che mostrando i suoi propositi in un colorito Powepoint, piuttosto che in freddi numeri su brutale carta bianca, possa magicamente risolvere problemi che neppure un sanguinario autocrate potrebbe risolvere in tempi accettabili.

Un powerpoint passa, un documento resta, gli storici possono recuperarlo in un archivio e inchiodare il Renzi alle sue promesse vuote e senza basi reali.

Una serie di slide è solo una serie di punti, d’idee, di bambineschi desideri, è il credere che la facilità con cui si crea e si distrugge nel mondo digitale possa trasferirsi al mondo reale dove se favorisci con un’esenzione fiscale i soli lavoratori dipendenti, ti troverai sommerso da migliaia di cause per incostituzionalità dei lavoratori autonomi, e dove andare a rubare ai poveri pensionati, oltre che di uno squallore unico, ti sommergerà di ricorsi nonché di gente che sicuramente si butterà in braccio a Berlusconi che non vede l’ora d’impallinare il ragazzotto fiorentino, le sue belle slide colorate e suoi numeri truccati.

La grande bellezza (incompresa)

Amica mia, sei stata illuminante.
La scena degli uccelli non l’avevo capita: lemigrare come antitesi alle radici.
E sì che nel film ci sono diversi punti in cui si intravede il desiderio di jep di non essere prigioniero della piccola Roma: la francese che incontra di notte (Fanny Ardant) il battello sul fiume a ricordare i bateau mouche di Parigi.

laimpertinente

Jep Gambardella Tony Servillo, nei panni di Jep Gambardella

Visionario, profondo, felliniano, semplicemente memorabile.

“La grande bellezza”, miglior film straniero agli Oscar 2014, torna a far parlare di sé, sebbene pochi, per non dire molto pochi, pare abbiano compreso la complessità, i riferimenti e gli ammiccamenti interni del capolavoro di Sorrentino.

Ci voleva tutta la miscredenza di un napoletano per demolire, sfottere e tratteggiare le miserie dell’Italia e degli italiani di oggi, senza che questi se ne siano resi conto.  Ne scaturisce un ritratto penoso, popolato da figure meschine e da una degradata classe dirigente, cialtrona e arrogante.

E ci voleva tutta l’ironia, il disincanto e la maestria di un altro napoletano come Servillo, alias Jep Gambardella, voce narrante, per mettere a nudo l’anima di un popolo morto, arroccato su un passato che non esiste più, come le bellezze decadenti di Roma, senza presente e senza nemmeno uno spiraglio…

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