Due grafici che spiegano perché l’Italia si trova in queste condizioni e perché le speranze di uscire dalla crisi sono veramente poche.
Grafici sul tasso di scolarità secondaria nel mondo, cioè numero di persone che hanno il diploma di scuola media superiore, dove l’Italia è l’ultima della classe.
Popolazione senza scolarità secondaria
E un grafico sull’alfabetizzazione, dove l’ultimo posto non ce lo toglie nessuno.
Livelli di alfabetizzazione nel mondo
E con questi chiari di luna come potevamo sperare di avere una classe dirigente di livello? Come potevamo sperare di non eleggere il variopinto nugolo di nani e ballerine che ogni sera ci delizia da Ballarò, Piazza Pulita, La gabbia, il TG3 sera, Porta a Porta, Servizio Pubblico dove il più colto è il cameraman?
Un popolo ignorante non poteva avere che una classe dirigente di capre, cosa per altro dimostrata dal fatto che i manager leggono meno di un libro l’anno.
Nel caso ci fosse bisogno di un’altra prova del becerume che ci governa.
E dove viene creato si tratta di lavoretti, e non certo posti per la vita, anche se c’è chi aspira (e spera!) di stare in un call center tutta la vita.
Il lavoro è sotto un doppio attacco: la globalizzazione elimina posti nei paesi ricchi, spostandoli in quelli poveri, o riduce il salario nei paesi ricchi al livello di quelli poveri dove magari oggi si guadagna un po’ di più. Insomma, la globalizzazione agisce da sistema di vasi comunicanti dove tutto lentamente ma inesorabilmente si livella verso una mediocrità diffusa.
Poi, esaurite le economie possibile sui salari, ci pensa l’automazione ad eliminare definitivamente il lavoratore.
Prima gli operai, adesso agli impiegati, quelli che una volta erano la classe media.
Ma come dice Federico Pistono in Why robots will steal your jobs , non è detto che sia necessariamente un male. Sempre che lo sapremo gestire!
La cosa veramente grave è che le classi dirigenti (in tutto il mondo) credono che il vantaggio derivato da questa cosa – che oggi va tutto nelle loro tasche – possa restare tutto a loro, senza doverlo condividere con il resto della gente.
E mi sa che stanno cercando guai, grossi guai.
E lo dice anche il Nobel Stiglitz, nel suo Il prezzo della disuguaglianza, dove accusa l’1 percento degli americani di essersi impadroniti di più del 65 percento dei guadagni del reddito nazionale, provocando lo squilibrio economico, il vuoto politico e la morte del sindacato, incapace di proteggere i lavoratori contro lo strapotere delle aziende pronte a delocalizzare se non si accontentano i loro super pagati dirigenti e le loro corti e cortigiane.
Perché oggi l’1% della popolazione mondiale si arricchisce sempre di più mentre il resto – classe media compresa – s’impoverisce sempre di più, perché sparisce il suo lavoro e anche le opportunità di lavoro per i figli, per non parlare del blocco definitivo dell’ascensore sociale dal momento che per accedere a certi lavori occorrono soldi con la pala per far laureare un figlio nell’università giusta ed aiutarlo con le spese e l’affitto finché non sale il livello di autosufficienza.
Il problema che l’1 percento non vede, è che oggi loro sono in grado di controllare la massa immiserita e arrabbiata solo grazie ad elemosine: il posto inutile nella pubblica amministrazione o nel privato, i buoni alimentari come si fa in USA, i sussidi del welfare, la cassa integrazione e, ovviamente, i soldi stampati a palate dalla BCE e dalla FED per mantenere tutto questo.
Ma poi l’automazione avanzerà inesorabile, e l’1% si troverà davanti un 98% di impoveriti fronteggiati da un altro 1% di pretoriani in assetto di guerra.
Ma per quanto armati fino ai denti, è tecnicamente impossibile che l’1 percento di sbirri possa avere ragione del 98 percento impoverito.
Sta già accadendo, in Egitto, in Brasile, a Londra. Anche a Roma.
E mano mano si estenderà come una fiamma che brucia carta velina.
Si andrà allo scontro.
Disordini ad Atene
Inevitabile se le classi dirigenti non mollano buona parte del loro bottino.
Al principio, lo scontro sarà fra morti di fame, come prevedeva Pasolini.
Poliziotti, pagati con un piatto di minestra, contro una massa che la minestra non sa più come metterla a tavola, a meno di non andare alla Caritas.
Poi cominceranno a cadere le teste dell’uno percento.
L’uno percento che oggi scappa a Londra, dove i prezzi delle case sono cresciuti del 10 percento in pochi mesi, e dove la classe dirigente dei paesi del Mediterraneo, collassati per la crisi, porta i soldi pensando di essere al sicuro.
Al sicuro? Non ne sarei per niente sicuro.
A meno che Sua Maestà non faccia cingere di mura Londra per tenere fuori i miserabili e gli immiseriti. E non so se basti.
L’impatto con un apparato qualsiasi della Pubblica Amministrazione è quasi sempre un’esperienza che va dal defatigante all’allucinante, e avere a che fare con tre uffici pubblici nella stessa mattinata diventa un film horror che neppure il povero Stanley Kubrick avrebbe mai saputo girare.
Una mattinata con la PA è peggio di un soggiorno nell’Hotel Overlook di Shining o dello scontrarsi con HAL 9000, il computer che impazzisce sull’astronave che viaggia verso Giove di 2001 Odisea nello spazio.
Si comincia alle 8:30, in un palazzo del solito Piacentini, architetto preferito da Mussolini, un palazzo che sta lì dagli anni 30, quando c’erano gli scrivani, quelli con penna, calamaio e carta assorbente, e non i computer con i loro efficienti terminali collegati in rete. Ma le procedure sono rimaste le stesse del 30.
Infatti, per cambiare un IBAN e spostare un accredito bancario da una banca ad un’altra, hanno impiegato due mesi di calendario.
Ma non finisce qui, perché la cortese operatrice, pensando che volessi cambiare al momento l’IBAN, mi dice che non lo può fare, perché loro, la richiesta di cambiamento, la possono prendere in carico come domanda ma poi la devono spedire per posta alle sede territoriale di competenza, anche se l’ente è unico, nazionale e tutti i suoi dipendenti sono collegati allo stesso sistema informatico (infatti, la cortese operatrice poi vede che la variazione è stata già fatta).
Dal che risulta che l’Italia amministrativa è divisa in regni indipendenti, con barriere digitali invalicabili, e superabili solo tramite le Poste Italiane, che si spera mandino la posta con mezzi moderni e non con messaggeri a cavallo, anche se c’è da dubitarne visto che per cambiare un IBAN ci sono voluti 60 giorni.
E vi lascio le altre due disavventure, una delle quali avrebbe fatto vergognare Kafka e Joseph Heller, quello di “Comma 22“, per l’assurdità delle procedure che la PA utilizza per torturare ed avvilire i cittadini contribuenti.
Ieri sul NYT Paul Krugman argomentava sulla questione se la rivoluzione ICT fosse finita.
E in meno di 250 parole ci spiega che è in corso e che i suoi effetti si vedranno più avanti, anche se molti non vogliono vederli o non se ne accorgono visto che è strisciante, silenziosa e pervasiva.
D’altra parte, Krugman fa notare che ci sono voluti 25 anni dall’invenzione del microprocessore all’impatto negli anni 90 che ha avuto sulla produttività.
Questo è il dialogo culturale in America sull’esplosione delle tecnologie digitali, mentre da noi, in questi giorni, Assinform e Assintel, le associazioni che si occupano degli operatori del mondo ICT, hanno rilevato che la spesa per il digitale in Italia è scesa del 4,2%, il che vuol dire che, nonostante tutti i proclami governativi di volere un paese digitale, e nonostante ci siano più di una persona incaricata di smuover il pantano dell’immobilismo (sopratutto nella P.A.), il paese va all’indietro, non investe in tecnologie dell’informazione e si sta praticamente suicidando.
Di chi la colpa? Un po’ di tutti e un po’ di tutto. Le imprese troppo piccole per avere la forza di aggiornarsi, i venditori che cercano di vendere cose di moda e non cose utili e una P.A. che invece di fare da traino all’innovazione, con esempi virtuosi, fa di tutto per complicarsi la vita e complicarla a cittadini e imprese.
Insomma, stiamo avanzando come il gambero, andando all’indietro, e come i gamberi finiremo prima surgelati e poi fritti.
Adesso che ci penso, non credo di aver mai avuto un biglietto da visita di Marco Zamperini. Non ce n’era bisogno: lui viveva nella rete e l’avrei trovato comunque, ne avessi avuto bisogno.
Pochi istanti in qualche evento, e due persone che condividono tante cose, professionali e personali, diventano amici.
Ecco, se ne andato un amico, una bella persona, allegro, resiliente, positivo.
Una di quelle belle persone che mi fa considerare di avere un angelo custode che mi da spesso l’occasione d’incontrare persone speciali come Marco.
Una persona vera, reale,che considerava le tecnologie per quelle che sono: un modo di farci stare meglio e magari avere un po’ di tempo per dirci tante cose che spesso non abbiamo il tempo di dirci.
Ciao Marco, ciao @funkysurfer, ti sia lieve questo passaggio come lo è stato averci dato la tua amicizia e il tuo sorriso.