Le tre regole che ci rovinano

La vita di una nazione, insieme di una popolazione su un territorio, può essere basata su tante regole fondamentali ed accettate da tutti.

Regole che non sono state scolpite su tavole di pietra, ne vergate su fogli di pergamena e nemmeno scritte su solenni dichiarazioni firmate dai padri della patria in un giorno fatidico della Storia.

Più banalmente, sono quelle che tutti osservano senza nemmeno accorgersene perchè ingurgitate alla zizza materna, molto spesso tacite ed opportunamente sottaciute, sopratutto quando, come nel caso italico, si tratta di regole da non sbandierare ai quattro venti per non farci prendere a fischi e pernacchi dagli altri popoli.

E si che sarebbero regole che dovrebbero essere ricamate con filo d’oro sulle bandiere dei popoli italici, che siano il tricolore di tutti, il sole camuno dei padani, il leone veneto o i quattro mori sardi.

Tre regolette, osservate pedissequamente da tutta la nazione, dalla Vetta d’Italia a Lampedusa, nelle valli e sui monti più alti, nelle città e nel più piccolo villaggio. In ogni tempo, con ogni tempo, da qualsiasi italiano e sicuramente anche da qualsiasi governo repubblicano.

  1. E’ un figlio di mamma, vale a dire che non è il caso di scioccare un giovane virgulto italico o una futura promessa sculettante con una bella sospensione di un mese quando il ragazzo e la giovinetta, i cocchini di mammina dolce e di papino amoroso, sfogano la loro esuberanza giovanile sfondando le porte dei bagni della scuola, infilano lattine nella tazza del cesso per intasarlo, imbrattano monumenti che tutto il mondo ci invidia (e solo per quello).
  2. E’ padre di figli, cioè, non è il caso di rovinare un pater familia con una bella salatissima multa, la confisca dell’auto e magari qualche anno di carcere quando viene preso con una prostituta minorenne, tiene a bottega un lavoratore in nero, prende una fasullissima pensione di invalidità.
  3. Chi te lo fa fare, regola aurea su cui si basa la vita economica, sociale e politica della nazione, quella Grundnorme che invita a non farsi gli affari degli altri onde evitare problemi futuri per se e per i suoi.

Medici pignoli e guanti di lattice

Ad una conferenza dove si discute sull’utilizzo delle tecnologie dell’informazione per gli acquisti nella Pubblica Amministrazione, cioè l’insieme di metodologie mutuate dal settore privato che va sotto il nome di e-procurement, si scopre che la nostra PA non sta tanto male perchè la crescita anno su anno di uso di questi strumenti fa balzi anche del 400%.

E si che ne abbiamo bisogno, quando ci sono ben 40.000 organismi, fra PA centrale e periferica, che possono ordinare merci e servizi, il tutto con i nostri soldi, ovviamente!

Però sembra che si comincino a vedere anche dei sensibili risparmi perchè con questi metodi si possono gestire anche delle vere aste on-line che, a differenza di quelle di e-bay, funzionano al contrario: vince il fornitore che fa l’offerta più bassa. Quindi prezzi più bassi per merci e servizi e più efficienza della macchina della PA.

Efficienza che non è nella testa di quei primari di un ospedale pubblico del nord Italia che, per fare il capitolato di appalto per i guanti chirurgici necessari, ci hanno impiegato appena sei mesi.

Ci possono essere tante ipotesi sul perchè ci sia voluto tanto tempo.

Forse quei medici sono precisi, scrupolosi, e forse un po’ troppo pignoli.

Forse è che, fra una prostectomia e un bypass coronarico, quei medici non hanno mai avuto il tempo per riunirsi per decidere quali erano le caratteristiche ottimali del guanto di lattice che salvaguardasse nel contempo anche il migliore rapporto fra qualità del guanto ed il costo per il servizio sanitario regionale.

Forse.

Internet: dalle 8:30 alle 17:00

Italia del nord, ore 23 del 26 settembre 2007, inizio del terzo millennio ormai alle spalle, un cittadino, che si illude di vivere in un paese moderno e del g8 (ancora per poco), cerca di pagare tramite la Internet la terza rata della tassa per la rimozione dei rifiuti solidi urbani, anche detta TARSU, relativa al 2005, 2006 e 2007.

E non perchè lui sia moroso, ma molto più semplicemente l’ufficio tributi del comune si è accorto di avere nuovo cittadino contribuente da dover far pagare ben due anni dopo che l’anagrafe ne era stata messa a debita conoscenza ed anche opportunamente compulsata.

Ma questa è un’altra storia.

Il cittadino convinto di essere suddito di un paese moderno accede al sito per i pagamenti tramite Internet, immette il numero della cartella di pagamento, il codice fiscale, il numero della rata da pagare e poi, per ben tre volte, viene avvisato che il sistema non è disponibile.

Ergo, per pagare la RSU, nel 2007, in Italia, forse bisogna osservare un orario di sportello comodo per l’azienda che riscuote le tasse anche quando si usa la Internet.

Il pesce fete dalla coda

Italiani (forse) in rivolta per le malefatte della classe dirigente denunciate dai grilli parlanti e da giornalisti molto documentati sulle pagliuzze d’oro nell’occhio dei politici ma con grosse opportune fette di prosciutto sui loro occhi quando si tratta di guardare anche alle diffuse malefatte degli stessi cittadini sudditi italici che, come Pinocchio, prima vanno a leccare il culetto al Mangiafuoco del momento, per averne prebende e favori, e poi invocano una Buona Fatina per toglierli dai guai che loro stessi hanno contribuito a creare.

Guardiamo ai giornali, anche quelli nazionali, quotati in borsa e con bilanci in attivo. Nel 2006 hanno avuto da mamma Roma ben 667 milioni di euro pari a 1.291 miliardi di lire.

E i giornalisti? Chissà perchè, loro, i censori della pubblica moralità, debbano avere lo sconto per i viaggi sui treni di Trenitalia, una società formalmente per azioni che però continua a fare sconti ai privilegiati e far pagare il biglietto intero a tutti gli altri poveri fessi.

Tanto per esempio: Milano-Roma in Eurostar AV per i comuni mortali costa in prima classe 74 euro e 51 in seconda, mentre i giornalisti fustigatori di costumi pagano rispettivamente 66,60 e 45,90. Non è tanto, ma anche questo è privilegio di casta non proprio così casta.

Roma sarà pure ladrona ma alla zizza gonfia della lupa capitolina non allattano solo Romolo e Remo!

e se nessuno ci va? (a votare)

Negli anni della guerra nel Vietnam c’era una corrente protestataria che si esprimeva nello slogan:

suppose they gave a war and nobody came?

Che, in parole semplici e piane, dice che, se i cittadini si rifiutano in massa di aderire ad un precetto dell’autorità, diventa impossibile per l’autorità stessa soddisfare la sua voglia, legittima o illegittima che sia.

Siccome, più prima che poi, si dovrà andare a votare di nuovo, supponiamo che tutti noi in massa ci rifiutassimo di prendere la scheda per le province.

Che cosa succederebbe?