Dalle braccia della madre in poi, la nostra vita è tutto un imparare a comunicare, adeguando tono e parole a circostanze, persone e sentimenti.
Impariamo a parlare agli altri nelle più svariate sfumature, cercando di passare il messaggio che c’interessa, attenti a che le nostre profonde pulsioni non vengano fuori nel posto sbagliato e nel momento nefasto per le nostre relazioni di cui necessariamente viviamo.
Ed è bellissimo imparare a comunicare, fare in modo che gli altri comprendano il nostro messaggio, non distorto, non inquinato da quei due profondamente annidati dentro di noi che con ogni mezzo cercano di violare la vigile consegna dell’IO cosciente: paura, rabbia, violenza, desiderio ma anche amore, empatia, solidarietà che spesso, molto spesso, devono essere assolutamente repressi.
L’IO cosciente lascia spazio ai suoi due coinquilini solo di notte, quando sogni e incubi presentano il menù dei loro desideri, che non è quello tutto infiocchettato in livrea da giorno. No, è una lista di smanie, umori e di voglie che solo di notte, (pur sempre censurati), vengono a spiegarci chi siamo veramente.
Ma è una vigilanza difficile, e spesso, anche di giorno, pur facendo qualcosa di banale, i due malandrini, di soppiatto, spingono l’IO cosciente a fare qualcosa apparentememte lecita e che invece dice di tutto, un bel manifesto per dire al mondo, al marito, al padre, al figlio, a un amante cosa si vuole veramente per se.
E questa è la parte più dura della comunicazione, quella per cui capisci cosa l’altro vuole dirti senza parlare, senza averne il coraggio, perchè sarebbe dura ammettere che per giorni e mesi, se non ha mentito scientemente, almeno ha illuso e fuorviato con la sua confusione quando aveva scambiato per amore una paura d’invecchiare o per aver scelto un compito non gradito.
Sembra un paradosso: imparare a comunicare da una grande gioia.
Imparare cosa comunicano veramente gli altri è solo fonte di sofferenza.
Perchè è fonte di insofferenza? Forse dipende dalle prospettive… Ti pare?
Sofferenza, non insofferenza.
Si soffre perché il messaggio dell’altro, quello non voluto ma “dal sen sfuggito” rivela quello che l’altro vuole veramente, ci rivela che si era ingannato e ci aveva ingannato.
Perció si soffre.
Lapsus freudiano…
Se comunicare è scoprire, allora, non deve essere mai fonte di sofferenza, dico io