I peggiori biz in Italia

Facile entrare, facile fallire

I peggiori biz in cui infilarsi

Questa lista evidenzia tendenze di mercato e sfide strutturali che molti settori in Italia devono affrontare.

Non è una condanna assoluta per ogni attività, ma di un monito a non sottovalutare la complessità e la competitività del panorama.

Per avere successo in questi o in altri settori, è fondamentale condurre un’approfondita analisi di mercato, elaborare un business plan solido, considerare attentamente i costi e i margini, e soprattutto, trovare una proposta di valore unica e differenziante.

  1. Ristorazione (bar, ristoranti, pizzerie)
    Perché è difficile: saturazione totale, concorrenza spietata, margini bassi, orari massacranti.
    Tipico errore: “Apro un baretto carino…” — muori sotto tasse e INPS.
    In numeri: 1 su 2 chiude entro 3 anni.
  2. Turismo stagionale (B&B, agriturismi, case vacanze)
    Perché è un’illusione: tutti credono che basti affittare camere, ma ci vogliono servizi, manutenzione, e marketing.
    Problema: stagionalità estrema, concorrenza Airbnb, burocrazia e tasse locali.
    In più: zone interne e Sud spesso isolate dai flussi veri.
  3. Abbigliamento e accessori (negozietti fashion, mercerie, boutique)
    Perché è morto: Amazon, Shein, Zara, outlet.
    Falso mito: “Ma io ho gusto!” — Il cliente medio vuole prezzo e reso.
    Risultato: negozio vuoto, magazzino pieno, e svendi tutto in saldo.
  4. Edicola e cartoleria
    Fine di un’epoca: lettori in calo, editoria in crisi, giochi e francobolli spariti.
    Chi resta: solo se integrato con servizi (tabacchi, ricariche, etc.).
    Curiosità: molte sono state convertite in micro uffici postali privati.
  5. Negozi di telefonia e elettronica “multi-brand”
    Perché no: i margini sono tutti delle grandi catene.
    Chi compra da te? Tutti online, oppure da Unieuro/Mediaworld.
    In più: i brand ti scaricano i costi di esposizione e assistenza.
  6. Lavanderie tradizionali
    Costi fissi troppo alti, e la domanda cala: sempre meno abiti “da lavaggio”, e pochi clienti abituali.
    Concorrenza killer: lavanderie automatiche H24 (più economiche).
    Eccezione: zone ad alta densità o clientela alto-spendente.
  7. Tabaccherie (per nuovi ingressi)
    Paradosso: regge solo se hai già la licenza (che vale oro), ma come nuovo entrante paghi cifre folli per subentro.
    In più: guadagni veri solo da Lotto, Gratta & Vinci, e servizi accessori.
    Tendenza: calo del fumo + criminalità interessata = rischio alto.
  8. Librerie indipendenti
    Un sogno per pochi: margini bassi, concorrenza online totale.
    Clientela in calo: il lettore forte compra su Amazon o nei megastore.
    Funziona solo: se sei uno spazio culturale/eventistico oltre che shop.
  9. Parrucchieri ed estetica “generalista”
    Saturazione assurda in città e paesi.
    Prezzi bloccati, concorrenza selvaggia, clienti infedeli.
    Sopravvivono: solo chi si specializza (curly hair, bio, trattamenti top).
  10. Franchising-farsa (gelati, bubble tea, panini gourmet, ecc.)
    Boom & bust: attraggono giovani con “pacchetto chiavi in mano”, poi li spremono.
    Problemi: fee elevate, royalty fisse, dipendenza dal franchisor.
    Risultato: dopo 2 anni chiudi con debiti e zero know-how reale.

Bonus:
Impiantistica e servizi edili: buoni margini teorici, ma tempistiche lunghe, crediti non riscossi, rischio insolvenza del committente e concorrenza sleale (imprese estere, in nero).

Startup digitali “senza cassa”: ottime idee, ma zero accesso a VC e banche = morte rapida.

I settori con bassa barriera all’ingresso attirano troppa gente, senza capitale né strategia, mentre quelli ad alto potenziale sono opachi o bloccati da barriere relazionali, regolamentari o clientelari.