Quando la vigilanza dorme

Tre anni dopo la crisi, Bernanke ammette che la Federal Reserve, cioè lui, i suoi predecessori e i suoi colleghi banchieri centrali, sono stati lenti (un eufemismo per dire assenti e del tutto inerti) nell’individuare e gestire gli abusi nella concessione dei prestiti subprime, cui si devono aggiungere operazioni scandalose il cui unico scopo era di spennare i risparmiatori e i mutuatari arricchendo pure la receptionist supponente di una banca di malaffari.

Come avevo detto altre volte – e anche scritto nel mio L’Albero degli Zecchini – le crisi bancarie possono avvenire solo se le autorità di vigilanza non intervengono non appena si accorgono di comportamenti non in linea con le elementari regole di tecnica bancaria: tassi bassi per chi è molto affidabile, tassi proporzionali al rischio per tutti gli altri e nessuna partecipazione al capitale di rischio, attività che devono fare soggetti diversi dalle banche e principalmente il mercato e una borsa sana.

Bernake fa il mea culpa, ma a noi importa poco, non ci da nessuna soddisfazione, anche se s’impiccasse il latte è stato abbondantemente versato; quello che ci interessa è che siano ripristinate – e molto rafforzate – le regole resesi necessarie dopo il ’29, regole eliminate da una politica troppo di manica larga per non farci sospettare che il politicume abbuffino avesse interesse ad allentare i controlli.

Speriamo che la lezione sia servita, anche se ne dubito molto, altrimenti arrivederci alla prossima crisi!

Ma non è una crisi seria

La Grecia è nei guai, la Spagna pure, il Portogallo sta-per, l’Irlanda affonda lentamente, ma affonda, e l’Italia, more solito, non si capisce se è viva, morta, moribonda o se siamo al solito piangere tanto e fottere alla grande.

Ma qual’è il guaio grande-grande nel quale si dibattono i PIIGS? Un guaio ben noto agl’italici, visto che dall’era craxiana è arrivato ad equivalere il PIL, vale a dire che la Repubblica Italiana ha un debito pubblico enorme, il terzo de mondo, ma con una caratteristica sulla quale fare una riflessione: metà dei creditori sono stranieri ma l’altra metà è fatta da italici, cosa che spesso è ignorata dai media.

Ma cosa significa che uno stato ha debiti con i suoi stessi cittadini? Semplicemente che lo stato non è stato capace di farsi pagare le tasse e ha dovuto fare un debito con quegli stessi cittadini che le tasse non le hanno pagate. Ergo, i cittadini evasori, cioè dei delinquenti, non solo hanno preteso servizi che non hanno pagato, ma addirittura costringono il loro stesso stato a fare debiti minacciandolo con l’arma del voto.

A questo punto emerge chiara la soluzione per almeno metà del debito pubblico: basta stampare carta moneta e comprare dai cittadini i loro titoli di stato.

Ma qualcuno potrebbe dire che mettere sul mercato una massa enorme di denaro potrebbe creare inflazione, un ragionamento sicuramente sbagliato perché i possessori di questi titoli li considerano risparmio, cioè denaro per future necessità, e quindi non si vede perchè, avendo denaro contante in mano, dovrebbero correre a spenderlo.

Quello che può accadere invece e che la gente cercherà di investirli, cosa che può essere un’occasione per le imprese per attrarre capitale per crescere.

Abbraccio mortale

La voglia di Obama di mettere fine alla commistione fra attività (speculative) proprie delle banche e quelle per conto dei loro clienti, forse risolverà i problemi elettorali del Partito Democratico ma sicuramente non mettera fine alla più grande bisca del mondo, il mondo finanziario come oggi si è evoluto e sopratutto consolidato.
Ormai ci sono in giro fantastilioni di dollari, di euro e di altre valute basati su strumenti finanziari che non si appoggiano su niente di concreto, come mongolfiere stanno su finchè c’è aria calda che le fa galleggiare nell’aria, e l’aria fritta sono previsioni di guru della finanza più furbi e lestofanti dell’oracolo di Delfo consociato con una criptica sibilla cumana.

Se questo è lo scenario che cosa può fare la politica come mezzi normali? In pratica niente: il genio malefico non può più essere rimesso nella lampada e l’unica cosa è trovare un’altra lampada con un altro genio capace di esaudire decenti desideri.

Quello che serve è semplicimente trasformare questa montagna di denaro virtuale in denaro vero, cioè gli stati devono semplicemente stampare soldi e restituire ai comuni mortali quello che hanno investito in titoli esotici ed esoterici di cui nessuno capisce più niente.

La festa appena incominciata è già finita

Diciamoci la verita: come nazione ci siamo posti obiettivi non realizzabili, che solo pochi hanno realizzato, che molti avevano realizzato, (e che stanno perdendo), e che molti mai realizzeranno, se non prendendo coscienza che siamo un paese che vive al di sopra delle sue possibilità, prova ne sia un debito pubblico in costante e continua crescita, l’evidenza palpabile di spese che non siamo in grado di pagare se non facendo debiti su debiti.

Cominciarono i democristiani, con il famoso libro dei sogni fanfaniano, proseguirono, dando fondo alla cassa e ingigantendo il debito pubblico, i socialisti craxiani, poi la paura di essere sbattuti fuori dalla EU hanno un po’ bloccato l’immaginazione al potere di fronte alla brutale realtà dei numeri cui pure l’ottimismo berlusconiano si deve arrendere.

E pochi vogliono credere che la festa, appena cominciata nel 1960, è già finita.

Integrazione: difficile, possibile o futuribile?

O per una rivolta in una periferia parigina o perchè si scopre che certi quartieri olandesi sono diventate zone monoetniche, ogni tanto salta fuori la discussione sulla possibile integrazione degli immigrati, sopratutto di quelli più evidentemente diversi dal resto della popolazione, un fatto che fa scattare l’accusa di ghettizzazione, molto prossima a quella di razzismo.

Ma così non è: come ha spiegato Mark Buchanan (Atomo sociale), la gente vuole stare fra i propri simili e quindi tende a creare isole etniche all’interno della comunità che la ospita.

Le China Town o le Little Italy sono prove di questa voglia di avere relazioni con chi condivide la stessa cultura, e il tutto è dovuto a un fatto di comodità e di economia: è più facile vivere in un ambiente conosciuto che affrontare i costi dell’integrazion e, saranno poi figli o nipoti che decideranno di integrarsi, se lo troveranno “economicamente” vantaggioso.

Questo è avvenuto in passato in paesi di forte immigrazione e sembra difficile pensare che un certo Roberto De Niro o tale Luisa Veronica Ciccone non siano americani a tutti gli effetti, ma è una scelta che dipende dalle circostanze economiche, e che non è detto si possa verificare di nuovo, sia negli USA, dove gli ispanici si integrano oggi abbastanza poco, sia in Europa, dove l’immigrazione è stata necessaria per coprire certi lavori non più accettati dagli europei, ma che non è una condizione che durerà per sempre, come dimostra il fatto che, a seguito della crisi, si sono ridotti gli sbarchi e che certi lavori siano oggi appetiti anche dalla massa di disoccupati che cresce di giorno in giorno.

In definitiva bisogna non drammatizzare il problema, evitare inutili guerre, anche di religione, come quella sui minareti, perchè può darsi che sia, in termini storici, un fenomeno passeggero, oppure epocale, e allora si può fare molto poco, anche per la non secondaria ragione che l’immigrato va dove lo porta il lavoro, infatti, o che venga dall’Africa, dalla Colombia, dalla Romania o dal sud Italia, gli immigrati vanno tutti al nord dove, per il momento, c’è ancora lavoro non “ancora” appetibile per i residenti storici che, a loro volta, erano emigrati dalle desolate lande germaniche dove c’era poco da mangiare.