Il tesoro in fondo alla palude

Dibattito al POLIMI, si parla di crisi finanziaria, faccio un intervento di rottura, un prof allarga i miei concetti e spiega il mio discorso: il paese è ricco ma tutta la ricchezza è praticamente bloccata in immobili, depositi e titoli di stato, roba che rende poco, ma che fornisce all’italiano, ex contadinaccio inurbato e appena sceso dall’albero degli zoccoli, la sicurezza, o una presunta tale.

Purtroppo questa ricchezza, veramente enorme, frutto di risparmio ma anche di evasione ed elusione, non serve a far progredire il paese, è come il ciocco in un camino, si consuma, da calore a chi sta vicino, ma quelli in fondo alla stanza, o addirittura fuori al freddo, vedono solo la luce del fuoco ma non ne ricevono nessun beneficio.

Siamo in una condizione assurda e bloccata: abbiamo un sacco di soldi, siamo un paese con super debiti da parare con super tasse, e non c’è un’euro per l’innovazione.

Ed è solo l’innovazione che crea il lavoro.

La Apple ha investito 1 miliardo i dollari per creare l’iPad.

Quale azienda italiana può investire tanto con il rischio di non recuperare l’investimento, come spesso succede? Nessuna, visto come pure loro sono super indebitate.

E i giovani fanno confronti con altre civiltà e capiscono che la nostra palude, sempre più limacciosa e spesso anche fetida di scandali, senza denari, è as-so-lu-ta-men-te impossibile da bonificare per far emergere un tesoro che, se investito, farebbe stare bene tutti

Il futuro dell’informatica

Il mondo dell'IT è contraddistinto da una particolarità stranissima per un settore avanzato: non è capace di cogliere i segnali che arrivano dal futuro e, anzi, è un mondo che nega il futuro anche se questo è un presente già molto evidente.

È un mondo dove, per parare alcuni problemi, si scelgono strade falsamente innovative che, invece di portare efficienza, apportano nuova complessità, quindi nuovi costi e una confusione da cui non si riesce a uscire anche per un'altra specificitá del settore IT: il manicheismo che porta a vere guerre di religione dove i crociati di una tecnologia buttano milioni per abbattere gli idoli informatici dei talebani perdenti.

Negli anni 70 c'è stata la guerra dei data base, gerarchici, reticolari, relazionali, che hanno vinto e, ovviamente nelle testoline della gente IT sono un altro santuario da non offendere, e perciò, se qualche mente brillante afferma che il data base forse non serve più, visto che abbiamo dischi velocissimi, assolutamente incomparabili con quelli degli anni 70, i bonzi dell'SQL gridano al sacrilegio o al più ti guardano come un mentecatto.

Evitiamo poi di parlare delle stupidaggini nel campo dei linguaggi di programmazione, ognuno dei quali doveva essere migliore del precedente, con il risultato evidente di una massa di applicazioni dove c'è ancora di tutto, sia vecchio che nuovo: Cobol, PL1, APAB, Java, C, C++, ADA, Visual Basic, Basic.

Poi ci sono le nuove edizioni di cose vecchie e una di queste è la virtualizzazione il cui scopo sarebbe di far diminuire le centinaia di server che col tempo si accumulano in un'azienda.
E dalla virtualizzazione si passa al concetto di cloud, cioè l'idea che le applicazioni stanno da qualche parte nella Internet e si paga a consumo, una cosa che non è altro che il vecchio outsourcing.

Però qualcuno dice che è il futuro, cosa che non tiene conto di alcuni elementi grandi come montagne.

Le aziende, sopratutto le PMI che sono la massa, non metteranno mai i loro dati in giro nella rete;

Per affidare alla cloud i propri dati occorre un contratto che veramente protegga il cliente in caso di guasti e interruzioni del servizio;

Ma il vero nemico della cloud è il fatto che i prezzi delle macchine devono ancora scendere e di molto per cui è pensabile che prima o poi qualcuno fornirà alle aziende delle scatole che svolgono una specifica funzione, scatole che non hanno bisogno di sistemisti e che si installano come i pezzi dell'HI-FI: un solo connettore e la scatola che fa la contabilità entra in funzione subito, si aggiorna da sola scaricando dalla rete quello che serve e sopratutto è pensata per dialogare "in automatico" con altri sistemi locali e oltre le mura dell'azienda.

E per parlare con queste macchine, iPad e cellulari.

il decalogo che rovina l’Italia

Questo è l’elenco delle leggi che gli italici osservano, con maniacalità e fervore oserei dire sacrale, dalla Vetta d’Italia fino alla Punta Pesce Spada di Pantelleria:

– è ancora un ragazzo! *
– tiene famiglia!
– è un amico **
– ma chi te lo fa fare?
– fatti gli affari tuoi
– per questa volta…
– è la prassa! ***
– ma che importanza ha?
– chi vuoi che se ne accorga!
– solo un attimo!

avvertenze:
* ragazzo è uno che può avere anche più di 35 anni!
** vale anche: è un parente, è un collega, è una persona importante, ci può dare una mano
*** sarebbe prassi, ma così si espresse l’addetto alla visita di leva

Bavagli e bavaglini

Un sacco di gente, ovviamente se-dicente democratica e liberale, si sta sbattendo per non far passare l'ennesima porcata liberticida, azione veramente meritoria, ma molto ipocrita, considerato che nella Costituzione, all'articolo 21, si dice "che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure" e poi, con una classica contradizione all'italiana che "si può procedere a sequestro…" , con l'effetto statistico che su 181 parole di cui è composto l'articolo, ben 151 sono di divieti e costrizioni.

E di tutto questo le anime belle, ovviamente democratiche e liberali, non se ne sono mai accorte!

E magari considerano la sentenza della Corte Suprema USA, quella che tutela lo scritto anonimo (se rivolto contro un potere pubblico o privato), un'americanata e non, com'è e deve essere, la base fondante della democrazia, quella che trova nelle 45 parole del First Amendment al Bill of Rights tutto quello è alla base della libertà della persona!

"Congress shall make no law respecting an establishment of religion, or prohibiting the free exercise thereof; or abridging the freedom of speech, or of the press; or the right of the people peaceably to assemble, and to petition the Government for a redress of grievances"

La manovra del ramarro

La mia gatta Pezza è un natural born killer, e bisogna vederla quando prepara l’agguato a qualche solingo augelletto che si avventura sul mio balcone.

Ma è in campagna, d’estate, che il suo lavoro di selezionatrice darwiniana raggiunge l’apice della gloria per una gatta da caccia.

Passa giornate fuori, fra l’erba alta, uccidendo tutto quello che si muove, e non disdegna niente: dalle farfalle alle gazze ogni vivente è un aspirante cadavere e, qualche volta, se la preda le sembra particolarmente adatta, la porta in casa come omaggio alla sua padrona, a mia moglie.

E, in un pomeriggio bollente, si è vista arrivare Pezza trionfante con un bellissimo ramarro verde smeraldo fra le fauci, magari per ammazzarlo davanti agli occhi di moglie e figlie che, invece di gradire l’omaggio della nostra cacciatrice, hanno cominciato a urlare con l’effetto di rendere perplessa la povera gatta e consentire al ramarro, condannato a morte, di attuare la classica manovra diversiva dei piccoli sauri: far cadere la propria coda che, ancora vibrante degli spasimi agonici, serve a distrarre il gatto quel tanto che apra le fauci e potersela filare come un centometrista all’Olimpiade.

Questo è la stessa cosa che si sta tentando con la manovra per scampare alla sindrome PIGS: tagliare qualche cosa di inutile e ingannare i mercati, sapendo bene che la spesa tagliata ricrescerá e si riformerà come la coda del ramarro.