Una rivoluzione bella e impossibile

Nelle altre nazioni, dopo una rivoluzione, si è sempre arrivati a un accordo fra le fazioni, con accettazione del nuovo ordine, anche se ogni fazione rimane con differenti punti di vista.

In Italia, invece, si resta in uno stato di guerra civile strisciante, dove ogni fazione, per prima cosa, non riconosce l’altra come legittimo competitore, e spesso non riconosce nemmeno il nuovo ordine; lo stato attuale delle cose italiche è un’evidente prova di questa situazione, dove ognuno chiede all’altro che abiuri al suo oscuro tragico passato e, quando questo avviene, con una plateale sceneggiata in TV, lo si accusa di opportunismo, mostrando che la guerra civile fredda non finisce mai.

Eppure, a detta di molti storici e commentatori, la guerra civile calda, quella vera, con le stragi, fosse comuni, foibe, strupi, saccheggi, ci sarebbe già stata fra il 43 ed il 45 e, perciò, ci si interroga sul perchè in Italia non si arrivi mai a una pace.

Ma si sbaglia ad attribuire a quei fatti una valenza di guerra civile, che non hanno mai avuto, anche per la limitazione nello spazio e nel tempo. Al massimo s’è trattato di scaramucce, tollerate dagli americani che avevano altro da fare. In effetti è stato un semplice tentativo di alcuni gruppi di mantenere/raggiungere il potere, che però mai veramente hanno cercato l’evento che, nelle altre nazioni, è stato il vero punto di svolta, dopo il quale si accetta il nuovo ordine e le nuove regole.

Questo evento è la Rivoluzione, intendendo l’eliminazione fisica totale della classe egemone e la sostituzione con quella vittoriosa, di solito la borghesia, anche quando si maschera da partito rivoluzionario che deve servire il popolo, come in Cina.

Nei paesi in cui c’è stata una gloriosa rivoluzione ci sono stati anche lunghi anni di guerra civile e, con il patibolo, i massacri, e guerre interne ed esterne, si è ottenuto naturalmente un nuovo ordine, stabilito dai soli rivoluzionari superstiti, anche perchè i perdenti erano ormai sotto quattro palmi di terra. Questo è il perchè, alla fine della rivoluzione, ci si mette d’accordo: a mettersi d’accordo sulle nuove regole sono quelli che hanno vinto e questi, fra di loro, possono avere solo delle leggere differenze di opinione e, comunque, tali da non generare un nuovo giro di massacri; dove invece restano problemi strutturali irrisolti, scoppia una nuova guerra civile, come negli USA fra nord e sud, oppure resta la guerra fredda, come in Italia.
In Italia tutti i tentativi rivoluzionari, o di sovvertimento dell’ordine precedente, come è stata anche la lotta per l’unità, si sono invece sempre fermati al momento più tragico: l’eliminazione massiva della classe egemone, e ciò per due motivi:

– gli eventi rivoluzionari si sono quasi sempre svolti con la presenza ingombrante di stranieri invasori, chiamati in aiuto di uno dei contendenti italiani, vedi: gli accordi USA/URSS che fermano il tentativo di rivoluzione comunista alla fine della II Guerra Mondiale, la Francia che ferma Garibaldi che cerca di conquistare Roma.

– l’abitudine dei vincitori di cooptare i vinti più utili alla propria causa, e quella dei vinti di cambiare rapidamente squadra per rimanere classe egemone (“tutto deve cambiare perchè tutto resti come prima” dice il Principe di Salina). Esempi: i Savoia che agevolano la Marcia su Roma per mantenere il potere minacciato da una rivoluzione rossa, Mussolini che imbarca i Popolari nel primo governo, (uno di loro, Gronchi, diventerà addirittura Presidente della Repubblica, splendido esempio di triplo salto mortale), la decisione di Togliatti di amnistiare i fascisti, l’improvviso, e rinfacciato da sinistra, benessere dei pseudo rivoluzionari dell’ex PCI, andati al potere con le pezze al culo, e che oggi flirtano con la grande finanza.

Flaiano diceva che sulla bandiera italiana bisognerebbe ricamare il motto Tengo Famiglia. Forse si dovrebbe aggiungere anche un animale araldico che ben rappresenta la classe egemone: un viscido, sfuggente e grasso capitone. Forse somiglia a un biscione, scelto inconsciamente da un noto gruppo industriale? Questa però è materia d’indagine per un’analista freudiano.

Ma una rivoluzione italiana, che sarebbe stata storicamente necessaria per permettere alla borghesia produttiva di avere il potere, non ci sarà nemmeno in futuro, perchè l’altro problema che la impedisce è che l’Italia ha troppi centri decisionali: la politica e l’amministrazione a Roma, la finanza a Milano e, fino a qualche tempo fa, una specie di monarchia alto borghese a Torino, mentre le masse di sanculotti, necessarie per le operazioni di bassa macelleria, si dovrebbero andare a cercare nel lumpenproletariat di Napoli e Palermo e nelle valli prepalpine, fra i padroncini strozzati dalle tasse e da una globalizzazione non gestita.

L’altro problema è che la rivoluzione è uno psicodramma ed ha bisogno perciò di un palcoscenico. E dove lo rappresentiamo? A Milano? A Roma? A Napoli? E’ possibile dare lo spettacolo a Milano mentre i personaggi da decapitare stanno a Roma? E il pubblico? Ve li immaginate i milanesi (ma anche i Fiorentini), con il loden, la gonna a pieghe e i problemi di dieta, che portano in giro le teste grondanti di sangue e materia cerebrale della classe egemone?

E questo, da un punto di vista solamente logistico, complicherebbe di molto le cose ad un Robespierre milanese, o romano! Cosa che non hanno capito le BR, i NAR e Di Pietro. Infatti, i BR li acchiappano sui treni, visto che sono costretti a spostarsi appresso alle prede per inutili omicidi, mentre Di Pietro s’è fatto sfuggire i socialisti che si sono rintanati a Roma. Quando i milanesi innalzavano cartelli con “Di Pietro facci sognare”, davanti al tribunale di Milano, non immaginavano che la rivoluzione che loro speravano era, e rimane, un sogno.

Eppure la rivoluzione sarebbe necessaria! Tutti concordiamo che i problemi italiani derivano dalla sclerosi della classe egemone, ormai completamente presa da riti bizantini da cui non riesce ad uscire. Sono ormai un peso per la società produttiva, un’aristocrazia della cooptazione, che si sta trasformando anche in ereditaria, finendo per somigliare in tutto e per tutto all’ancient regime che aveva portato la Francia al disastro economico prima della Rivoluzione. Purtroppo lo stato delle cose richiederebbe l’eliminazione di questa classe aristocratica ma, come abbiamo appena dimostrato, la rivoluzione in Italia sarebbe bella da avere ma impossibile da fare.

Quindi, accertato che in Italia la rivoluzione, pur necessaria, è impossibile, non resta che andarsene dove il sistema è stato già “rivoluzionato” e dove la borghesia gestisce il potere attraverso le leggi che lei stessa ha creato e che si è auto imposta.

Perciò, chi può, venda tutto e se ne vada all’estero: ormai a Londra o a Parigi si trovano le stesse pezze Benetton/Donna Karan/Max Mara e le stesse scarpe Nike/Adidas, tutto prodotto in Cina, e anche gli stessi hamburger che mangiate a Varese.

E poi, non c’è più neppure il problema del cambio: l’euro regna sovrano dall’Atlantico all’Ucraina.

ICI: perchè è bene lasciarla

Assodato che gli italici sono ancora in gran parte quelli descritti da Verga nella “Roba” o moderne versioni di quelli dipinti dal maestro Ermanno Olmi nell “Albero degli zoccoli”, si capisce il perchè tutti odiano l’ICI e, di conseguenza, perchè i nostri politici non-pensanti si affannino a cercare di ridurla e/o eliminarla.

Una tassa sulla robbba (con tre b rende meglio l’avidità dell’italico contadinaccio arricchito), e in particolare sulle quattro mura, è qualcosa di insopportabile per quei contribuenti ob torto collo che sono i lavoratori dipendenti ed i pensionati, già ultra incavolati perchè non possono evadere come i lavoratori autonomi che, anche loro, al momento di pagare l’ICI si arrabbiano moltissimo perchè, e qui veniamo al dunque, l’ICI è un’imposta non eludibile in quanto tassa gli immobili, oggetti che non si possono nascondere e che, di per se, sono altamente visibili e censibili, anche con moderni mezzi come il satellite che può scoprire se in un certo posto, la dove c’era l’erba, ora c’è una città (abusiva).

Quindi l’ICI è una tassa democratica perchè la devono pagare tutti: lavoratori dipendenti, pensionati, ereditiere, politici, politicanti, imprenditori, extracom, presentatori, faccendieri, vallette, veline, tronisti, escort, spacciatori, taglieggiatori, banchieri, bancari, puttane, travestiti, fotografi, attori, cantanti, idraulici, meccanici e perfino avide mogli separate.Tutti, purchè abbiano una proprietà immobiliare, devono pagare e pagare al proprio sindaco che ne risponde ai suoi concittadini.

Ciò premesso, e se gli italiani che pagano le tasse non amassero darsi martellate sulle dita o su altre parti più molli, si vede chiaramente che il loro interesse sarebbe che l’ICI rimanesse in piedi (anche senza esenzioni prima casa) e, di contro, che venisse ridotta l’IRPEF. Perchè un’ICI aumentata la dovrebbero pagare tutti mentre dello sgravio sull’IRPEF ne beneficierebbero in gran parte quelli che le tasse le pagano già.

D’altra parte questo è il sistema che è in funzione negli USA, e che noi tanto idolatriamo, dove le aliquote delle imposte sul reddito sono basse ma i comuni e gli stati ricavano gran parte dei loro introiti proprio da imposte sugli immobili.

Ovviamente questo sistema non sarà mai adottato da noi perchè il succo del discorso degli italici contribuenti neghittosi è sempre e uno solo: non pagare nessuna tassa, sperando che le paghi qualcun altro e che i debiti della Repubblica siano prima o poi fatti sparire da una Buona Fatina con una classica e potentisssima bacchetta magica.

Una favola, insomma!

Annuario ISTAT: lettura obbligatoria

Qualcuno si è meravigliato di leggere nelle statistiche ISTAT che in Italia ci sono 800 mila analfabeti che fanno compagnia a ben 15 milioni di persone (su quasi 60) che hanno una bassissima scolarità, in pratica gente che ha la quinta elementare, senza alcuna cultura e pochissima capacità di comprendere il mondo.

A chi con piacere e diletto si è acculturato in geografia, statistica e demografia fa sempre altrettanta meraviglia scoprire che c’è ancora chi si stupisce di questa situazione di vero sottosviluppo culturale, ma poi ci sovviene che è proprio questa massa culturalmente informe che crea il substrato antropologico della nostra società, che è cambiata poco o nulla da quella descritta da Carlo Levi. Con la sola correzione da fare che Cristo molto probabilmente non si è fermato ad Eboli, ma molto più al nord, più o meno dalle parti di Vipiteno (BZ).
Forse sarebbe ora che per essere ammessi alle primarie di qualsiasi partito e coalizione i candidi – perchè fessi – candidati venissero costretti ad un esame sull’unico libro che permette di capire com’è fatta l’Italia: l’annuario ISTAT. Si eviterebbe così che una nata ricca, e maritata meglio, ministro dell’Istruzione se ne uscisse con un “ma chi me l’ha fatto fare a me di fare il ministro di un paese così povero” e ignorante, aggiungiamo noi sommessamente.

L’impotenza di TPS

Ovviamente nulla ci interessa degli ormoni di TPS, ma molto di più la sua incapacità di tagliare la spesa pubblica, come ha dichiarato in un intervista al Corriere. Il succo del discorso di TPS è che la voce di spesa che cresce continuamente, e che è molto difficile tagliare, è quella per il personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche statali e periferiche. E, a questo punto, la maggior parte degli italiani si sarà detta: e questo lo sapevamo pure noi. Quello che però non è chiaro è perchè TPS dice che è difficile ottenere risparmi da questa voce.
La spesa (in crescita) per il personale pubblico è stata nel 2005 di € 148,7 miliardi e TPS si propone di ottenere dei risparmi man mano che i dipendenti pubblici siano messi in pensione, e qui potremmo anche essere d’accordo in quanto un dipendente pubblico che va in pensione prende dallo Stato (perchè è sempre lo Stato che gli deve dare la pensione) circa un 17% in meno, per cui ad ogni pensionamento c’è un risparmio evidente, oltre a quello nascosto che è il costo del posto di lavoro (telefonate, PC, riscaldamento, elettricità, cancelleria, arredi).
Ovviamente TPS aspetta che la gente se ne vada in pensione, anche se, di contro, si fa di tutto per tenerli in servizio allontanando pure per gli statali l’età pensionabile. Però ci vuole tempo ed conti dello Stato, che paghiamo noi con salatisse tasse, non aspettano e perciò forse sarebbe bene fare come fanno molte aziende private quando hanno problemi di bilancio: tagliare il personale senza bisogno di aspettare che maturi l’età della pensione.
Perchè è inutile prenderci in giro: moltissimi dipendenti pubblici sarebbero ben felici di farsi accompagnare alla porta se potessero mantenere, anche ridotta, una retribuzione che magari non si chiamerebbe più stipendio ma pensione.
O davvero TPS crede che tutti i 3 milioni e passa di dipendenti pubblici sono lì per lavorare sul serio?

Tatuaggi ed esibizionismo

Come diceva il buon vecchio Hegel il massimo desiderio dell’essere umano è essere riconosciuto e, come tutte le umane pulsioni, questa immanente esigenza interiore si distribuisce fra gli umani secondo una classica curva gaussiana.

Da un lato ci sono gli esibizionisti estremi e dall’altro le persone che fanno di tutto per non apparire e in mezzo tutte le variazioni sul tema. Ci sono tante ragazze, anche belline e con un corpicino niente male, che però fanno di tutto per insaccarsi in: maglie, maglioni, sciarpone, parka, cappelli di lana calati fino alle orecchie e, ovviamente, occhiali da sole a specchio.
Di contro, ce sono centinaia di altre che vanno in giro con pantaloni a vita così bassa, ma così bassa, ma così bassa che devono farsi la depilazione, cosidetta alla brasiliana, anche d’inverno.

Tatuaggi, piercing, capelli viola non sono altro che una delle tante forme di esibizionismo più o meno patologico come: le auto costose, le seconde mogli più bellocce e poppute delle prime mogli, le soubrettine in sostituzione delle seconde mogli, le barche da 2 milioni di euro (escluso accessori), le pagliacciate delle curve allo stadio, i teatrini della politica, i manager che vestono tutti gli stessi gessati, i manager con la doppia cravatta, i pelati che finiscono di pelarsi, tutto il variegato e variopinto mondo della moda e purtroppo, e dulcis in fundo, anche scrittore, giornalisti e blogger.

Anche scrivere è una forma di esibizionismo patologico il cui scopo è farsi “riconoscere” da altri esibizionisti: i cosidetti giornalisti e blogger arrivati, LE FIRME, i direttori e, ovviamente, dalle ragazzette fresche di università che sperano di poter sculettare sulle pagine di un giornale nazionale mentre prendono ben 20 euro a pezzo sobbarcandosi lunghe attese in anticamera per intervestare un esibizionista che ce l’ha fatta!