
Periodicamente, quando non c’è niente su cui polemizzare, scoppiano le polemiche sull’uso del corpo della donna a scopi pubblicitari, vale a dire che un gruppo di femministe (e femministi di rincalzo) attaccano il variopinto mondo della pubblicità dove quasi tutto si cerca di vendere con l’esibizione di vari centimetri di carne umana femminile.
Lasciando un po’ da parte il fatto che tante di queste ragazze scelgono volontariamente di esibirsi, bisognerebbe ricordare che tutta la pubblicità insiste sul concetto di felicità, e quale maggiore felicità c’è nell’immaginario collettivo del piacere del sesso, che certamente implica pure concetti di salute, pulizia, eleganza e lusso?
Infatti la parola lusso deriva dal latino luxus, nel significato di benessere e splendore, con insita però una connotazione di vita stravagante ed edonistica; ma luxus è pure strettamente imparentato con luxuria, che definisce una vita dedita al vizio ed al peccato, ed così che è passata al francese, e da questi al normanno e poi all’inglese, dove luxury è il nostro lusso ed è a sua volta imparentata con lust che appunto significa lussuria.
Come si vede un continuo rimbalzare di significati, sempre però impregnati del concetto che lusso e sesso vanno praticamente sempre in coppia.
Cosa per cui pare un po’ difficile che nell’attuale situazione di certe industrie, dei loro prodotti e dei loro consumatori si possa cambiare il modo di fare pubblicità.
Magari sarebbe augurabile, ma sarebbe possibile?