Il rifugio dell’uno percento

Dimostranti incendiano il Tiradentes Palace a Rio
Dimostranti incendiano il Tiradentes Palace a Rio

Il lavoro sta sparendo, dovunque.

E dove viene creato si tratta di lavoretti, e non certo posti per la vita, anche se c’è chi aspira (e spera!) di stare in un call center tutta la vita.

Il lavoro è sotto un doppio attacco: la globalizzazione elimina posti nei paesi ricchi, spostandoli in quelli poveri, o riduce il salario nei paesi ricchi al livello di quelli poveri dove magari oggi si guadagna un po’ di più. Insomma, la globalizzazione agisce da sistema di vasi comunicanti dove tutto lentamente ma inesorabilmente si livella verso una mediocrità diffusa.

Poi, esaurite le economie possibile sui salari, ci pensa l’automazione ad eliminare definitivamente il lavoratore.

Prima gli operai, adesso agli impiegati, quelli che una volta erano la classe media.

Ma come dice Federico Pistono in Why robots will steal your jobs , non è detto che sia necessariamente un male. Sempre che lo sapremo gestire!

La cosa veramente grave è che le classi dirigenti (in tutto il mondo) credono che il vantaggio derivato da questa cosa – che oggi va tutto nelle loro tasche – possa restare tutto a loro, senza doverlo condividere con il resto della gente.

E mi sa che stanno cercando guai, grossi guai.

E lo dice anche il Nobel Stiglitz, nel suo Il prezzo della disuguaglianza , dove accusa l’1 percento degli americani di essersi impadroniti di più del 65 percento dei guadagni del reddito nazionale, provocando lo squilibrio economico, il vuoto politico e la morte del sindacato, incapace di proteggere i lavoratori contro lo strapotere delle aziende pronte a delocalizzare se non si accontentano i loro super pagati dirigenti e le loro corti e cortigiane.

Perché oggi l’1% della popolazione mondiale si arricchisce sempre di più mentre il resto – classe media compresa – s’impoverisce sempre di più, perché sparisce il suo lavoro e anche le opportunità di lavoro per i figli, per non parlare del blocco definitivo dell’ascensore sociale dal momento che per accedere a certi lavori occorrono soldi con la pala per far laureare un figlio nell’università giusta ed aiutarlo con le spese e l’affitto finché non sale il livello di autosufficienza.

Bill Gates, Warren Buffet, Larry Ellison

Il problema che l’1 percento non vede, è che oggi loro sono in grado di controllare la massa immiserita e arrabbiata solo grazie ad elemosine: il posto inutile nella pubblica amministrazione o nel privato, i buoni alimentari come si fa in USA, i sussidi del welfare, la cassa integrazione e, ovviamente, i soldi stampati a palate dalla BCE e dalla FED per mantenere tutto questo.

Ma poi l’automazione avanzerà inesorabile, e l’1% si troverà davanti un 98% di impoveriti fronteggiati da un altro 1% di pretoriani in assetto di guerra.

Ma per quanto armati fino ai denti, è tecnicamente impossibile che l’1 percento di sbirri possa avere ragione del 98 percento impoverito.

Sta già accadendo, in Egitto, in Brasile, a Londra. Anche a Roma.

E mano mano si estenderà come una fiamma che brucia carta velina.

Si andrà allo scontro.

Disordini ad Atene
Disordini ad Atene

Inevitabile se le classi dirigenti non mollano buona parte del loro bottino.

Al principio, lo scontro sarà fra morti di fame, come prevedeva Pasolini.

Poliziotti,  pagati con un piatto di minestra, contro una massa che la minestra non sa più come metterla a tavola, a meno di non andare alla Caritas.

Poi cominceranno a cadere le teste dell’uno percento.

L’uno percento che oggi scappa a Londra, dove i prezzi delle case sono cresciuti del 10 percento in pochi mesi, e dove la classe dirigente dei paesi del Mediterraneo, collassati per la crisi, porta i soldi pensando di essere al sicuro.

Al sicuro? Non ne sarei per niente sicuro.

A meno che Sua Maestà non faccia cingere di mura Londra per tenere fuori i miserabili e gli immiseriti. E non so se basti.

Il giardino del ciliegio

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Sono andato in visita ad amici in Liguria, zona che conosco poco, mai fermatomi oltre Genova, e sempre attraversata di corsa per andare in vacanza a Saint Tropez e quando lavoravo a Sophia Antipolis per Société Genérale, sulle colline della Costa Azzurra.

Una regione che non m’attira, nonostante i media milanesi, (cioè tutti i media), ne abbiano sempre esaltata la bellezza. Sarà perché venendo dalla Campania, quelle spiagge strette e nere, schiacciate fra un’Aurelia puzzolente di traffico e una ferrovia degradata che la costeggia, non c’è proprio paragone con le grandi spiagge dorate delle coste campane o con gli scenari di favola della Costiera Sorrentina, per non parlare dell’inebriante sensualità sontuosa di Ischia e Capri.

I miei amici abitano in una frazione di collina, quattro chilometri dal mare, dopo una salita contorta e tortuosa, in uno scenario di solitudine che ben si presterebbe a trovare un buco dove torturare in pace qualche FDP senza che le grida per le unghie strappate e il waterboarding, CIA style, suscitino un moto di curiosità dei pochi vecchi che vi ci abitano.

La loro è una casa di campagna, anche se la campagna non c’è, ricoperta da anni della scorza di seconde case dei milanesi che qui giungono a frotte e in massa nell’illusione che un fine settimana, passato in gran parte a respirare i gas di scarico delle auto incolonnate da Assago a Ventimiglia, possa esorcizzare l’inevitabile collasso dei loro polmoni inquinati sotto le polveri sottili delle migliaia d’impianti di riscaldamento accessi, da ottobre ad aprile, senza soluzione di continuità, impianti che i sindaci ben si guardano di nominare quando puntano comodi il dito sul traffico automobilistico che poi, loro stessi, con migliaia d’inutili semafori contribuiscono a creare.

I miei amici hanno una casa minuscola, carina, e di fronte, residuato di chissà quali spartizioni ereditarie, oltre la stretta strada, quello che loro chiamano un giardino, cioè un triangolo di terra dove s’erge solitario un ciliegio, più fonte di casini che occasione di rimirare il po’ di bellezza che potrebbe spandere.

Infatti, il loro inquilino, fattosi prestare da loro pure la scala, ritiene che i frutti del ciliegio siano res nullius, e quindi, tenendo fede al più bieco pregiudizio contro gli slavi, si fa sontuose scorpacciate di ciliegie altrui alla faccia dei poveri legittimi proprietari.

Un fatterello che sembra un’immagine meravigliosamente concentrata delle realtà italica, dove il triangolo di terra, che pomposamente i miei amici chiamano giardino, potrebbe essere il posto di lavoro nella P.A. o in un’impresa di questa parassitaria, o il piccolo commercio, o la pensione sociale e d’invalidità, più o meno legittimamente intascate, tutte cose che la crisi e i cambiamenti tecnologici incombenti stanno per modificare in modo totalmente inconcepibile, in altri tempi, quando il cambiamento poteva essere digerito, mentre oggi è così rapido e devastante che neppure qualche sparuto intellettuale dei nostri riesce a capirne vastità e portata.

E il ciliegio, con i suoi frutti non goduti, mi sembra la speranza vana per un futuro fruttifero per i figli, che non ci può essere più, perché altri, in altri posti del mondo, godranno del cambiamento, mentre da noi, quei pochi che rimarranno, dovranno fare da affittacamere e camerieri per ricchi e benestanti di altri paesi, quelli che non hanno mai creduto che il mondo fosse tutto in un triangolino d’erba ben pettinata, ma nella vastità di progetti ampi e maestosi che hanno bisogno di grandi menti e grandi idee, cose entrambe che mancano del tutto alla ridicola classe dirigente italica (nessuno escluso) che crede di essere moderna quand’è ancora abbarbicata a quattro sassi, aridi e infruttiferi, come le loro menti irrancidite.