Discorso alla nazione

Sergio Mattarella e tornio antico

Non so se esiste un altro paese dove, come primo atto pubblico, il capo dello stato senta il dovere di fare il resoconto del fallimento della nazione.

Debito pubblico inarrestabile, corruzione diffusa nella PA, inefficienze ormai insanabili in ogni comparto,  – compresi quelli essenziali come la giustizia e il fisco – mafie ormai stanziali in tutto il paese, disoccupazione dilagante, emigrazione giovanile crescente e, ovviamente, crisi economica che nessuno prova a fermare, visto che, ben quattro governi, non hanno fatto non solo niente ma addirittura meno di niente dato che hanno solo peggiorato la situazione.

Questo giusto per toccare alcuni temi.

E per fortuna non ne ha toccato altri, come scarsa ricerca e innovazione, aziende che non capiscono la globalizzazione, e men che mai la digitalizzazione, anche se si pensa che, stesa un po’ di fibra ottica, questa possa portare magicamente le aziende e la PA a superare un digital divide che non è nei cavi ma sopratutto nelle teste della classe dirigente.

Sarà forse un bene che il capo dello stato faccia l’inventario del disastro in modo che la classe dirigente si adoperi per migliorare la situazione?

Può essere, ma certamente non basta.

Santo Lamentino non fa miracoli, e neppure serve. Basterebbe che il primo ministro, autoproclamatosi salvatore della patria, facesse qualcosa di concreto invece di manovrare la scacchiera per piazzare i pezzi giusti sulle poltrone giuste.

Perchè può avere tutto il potere che vuole, ma se non ha uno straccio di piano, a niente gli servirà aver occupato ogni poltrona pesante: è questa è una crisi infinita, perché sono cambiati i parametri del problema, è in corso un gioco diverso, è come se in un campo di calcio all’improvviso si dovesse giocare a pallanuoto, ed occorrono perciò manovre non convenzionali, non certo quelle rispettose dell’ortodossia economica di Padoan, brav’uomo ma non per tutte le stagioni.

Speriamo, (ma non fidiamo), che il nuovo capo dello stato, con calma e pacatezza, faccia capire che il timer sta per trillare, e che non ci sono molte più possibilità di salvarsi, e che sarebbe sicuramente un bene darsi una mossa.

Vecchie ricette, nuovi problemi

Globalizzazione 1950 - 2014

Come tutti i tecnici, il buon Padoan crede che l’economia sia una specie di partita a scacchi: fatta una mossa – tipo elargire 80 euro a una parte dei lavoratori – questa mossa innesca un ciclo virtuoso, o almeno un avvio.

Invece? Non è successo nulla.

Anzi. L’economia è ferma, l’inflazione è negativa nelle città periferiche e la gente continua ed emigrare, anziani compresi.

E se ne vanno sopratutto dal Nord e dal Lazio.

Se ne vanno gli over 40, quindi chi ha professionalità che a noi non servono.

E qui si apre il discorso sull’eventuale aiutino da parte della BCE e della UE.

Ammesso che Renzi riesca a fare quello che gli ha suggerito, (in segreto), Draghi a Città della Pieve, e ammesso che ci siano dei soldi da spendere, può questo aiutino rimettere in moto l’economia italica?

Basterà aggiustare qualche scuola e avviare qualche cantiere edile?

Per qualche costruttore, per un po’ di operai stranieri e qualcuno che allatta sui lavori pubblici, qualche beneficio momentaneo ci sarà, ma per tutti gli altri disoccupati autoctoni e tutte le altre imprese che non riescono più a competere a che serve finanziare la solita edilizia? Certo non esporteremo di più!

Perché è chiaro che mettere gli italici a lavorare per passarsi i soldi dall’uno all’altro serve a molto poco: al paese serve esportare di più, attrarre più investimenti esteri e ovviamente far arrivare più turisti.

E sono tutte cose dove occorre una strategia globale che tenga conto dei nostri punti di debolezza, (mancata internazionalizzazione e scarsa digitalizzazione), e che utilizzi i denari disponibili per superare questi scogli.

Certo, c’è da sistenare un po’ di scarichi fognari per evitare che ogni 55 km di costa ci sia un punto d’inquinamento, c’è da migliorare strutture alberghiere e musei, ma tutto questo viene dopo che il paese ha deciso di migliorare la sua produttività, in ogni settore, dalla manifattura alla pubblica amministrazione, dai trasporti al turismo, e questo si può ottenere solo con una maggiore automazione, il che implica però, personale più qualificato (e meglio pagato) e investimenti mirati verso chi ha piani di sviluppo veramente competitivi.

Purtroppo, e da quello che dicono i nostri politici, economisti e commentatori, non sembra che la nostra classe dirigente abbia capito cosa fare: pare che voglia solo altri soldi per continuare a cementificare il paese.

Invece siamo di fronte a problemi nuovi, e vecchie ricette e vecchie strategie non servono, non funzionano.

La gente vota Renzi perché pare uno che vuole fare, purtroppo pare si sia circondato di gente di grande incompetenza e, come ha dimostrato la Storia, la forza di Napoleone era di sapersi scegliere i marescialli, e su questo punto pare che l’ex sindaco di Firenze abbia abbastanza sbagliato.

Il conta storie

abd1 Storytelling è il nuovo termine di cui s’è innamorato Renzi.

Secondo lui si deve cambiare il modo in cui si narra l’Italia.

Una cosa che fa il paio con il PowerPoint salvifico che dovrebbe indicare le vie d’uscita dalla crisi per il solo fatto di essere mostrato, un po’ come fanno quei bambini che, indossato il costume di Superman, poi credono di poter volare.

Quindi, cambiato il modo di raccontare l’Italia, magari tacendo che ci sono 5,2 milioni di processi civili pendenti, migliaia di aziende che non sono pagate e contribuenti che lottano anni per avere indietro i loro soldi, cambia la percezione che all’estero hanno di noi.

Chissà, forse convincendo i giornali internazionali che gli scandali Carige, Expo, Unipol, Regione Sicilia, sono fatti occasionali e di poco conto, magari può accadere che quel misero 1% di investitori esteri disposti a mettere un po’ di soldi in Italia (contro il 40% che investirebbero in UK e Germania) apra il portafogli e compri quel che c’è da comprare che non hanno ancora comprato.

Ma lo storytelling poco può fare: serve a tenersi i clienti, non ad acquisirne di nuovi, quelli comprano se il prodotto c’è e se il prodotto è buono.

Come quelli tedeschi che di solito si comprano e non si vendono.

Il voto della paura

Denaro e paura Filiale di una banca in un posto non particolarmente ricco del paese.

100 milioni di euro investiti dai clienti risparmiatori, in media cento mila euro a risparmiatore, ma c’è pure chi ha 5 milioni di euro e chi solo 20.000.

Mille persone che certamente non hanno sofferto per l’aumento della ritenuta dal 20% al 26% sulle rendite finanziarie.

La maggior parte compra BOT, rendono poco, non sono tassati, non è un grande investimento, ma la gente non ha tutta quella competenza per avventurarsi in borsa, comprare corporate bond, derivati e altri strumenti esotici.

Al massimo fa polizze sulla vita, pure queste non tassate.

E se pure qualcuno di loro avesse scelto di investire in strumenti tassati, che al massimo rendono il 3% l’anno, se prima su 100 mila euro pagavano 600 euro di tasse, con la tassazione al 26% l’imposta è 780 euro, quindi un aggravio di soli 180 euro, cioè due settimane di spesa, ma non fatta dalla Picierno ma da una famiglia normale.

Ora, data questa fauna di risparmiatori, molto diffusa in Italia, è chiaro che uno come Grillo (e l’inquietante Casaleggio) avrebbero spaventato questi che già si vedevano inquisiti da tribunali popolari pronti a chiedere ragione di come, in un paese a fine corsa, praticamente fermo, uno abbia 100 mila euro in banca mentre il povero Renzi deve ricorrere alle più fantasiose manovre contabili per giustificare 80 euro in busta paga, ma non per tutti.

In questi minus habens finanziari, ma ancora con il salvadanaio bello grasso e tondo, devono essere scattate paura, incertezza e dubbio, se buttarsi o meno in braccio ai due milionari barricadieri proprietari del cinque stelle.

Perciò, scartato il Berlusca azzoppato e il pulviscolo degli altri partiti, hanno votato uno che altri danni non ne può più fare.

Oddio, non può fare neanche niente di buono, visto che non ci sono soldi per gli investimenti pubblici, non c’è capitale di rischio per innovare nelle aziende (ammesso che abbiano la testa e la visione per innovare) e le riforme possono spremere, da un bilancio dello stato incomprimibile, null’altro che spicciolo per dare 80 euro anche a pensionati e cocopro.

I redditieri hanno scelto chi gli faceva meno paura, un simpatico Pinoccio che ha martellato il Grillo, spera di trovare un Mangiafuoco che gli regali tre zecchini dorati ma che sotto sotto spera che una delle sue colleghe sia una fatina con tanto di bacchetta magica d’ordinanza.

Ultimo ridotto

Primavera 45, Mussolini & C. hanno capito che c’è poco da fare contro l’esercito e l’aviazione americana.

Eppure qualcuno vuole resistere.

Gli irriducibili vagheggiano di un ridotto in Valtellina, ultima fortezza di uomini, fortini e natura.

Con una speranza che quello che si dice – che la Germania abbia delle armi segrete – possa cambiare le sorti della guerra.

Nel paese provincialotto di allora, (come lo è pure adesso) un missile o un aereo a reazione possono essere credute armi risolutive, il che non è: alla fine, gli sgraziati Sherman americani di Patton distruggono i superstiti Tigre tedeschi e penetrano la Germania fino a Berlino come una lama di fuoco nel burro.

Mai, i provincialotti dell’Italia di allora avrebbero potuto immaginare che erano proprio quegli americani che scaricavano tonnellate di bombe convenzionali su ogni pezzo di strada e di ferrovia, avessero già pronta una bomba atomica che dopo 4 mesi avrebbe stabilito per sempre la supremazia militare americana propedeutica a quella economica e culturale che ancora oggi impera.

Il buon Renzi sembra proprio uno di quelli di allora che con un arma segreta cambia le sorti del disastro economico italiano.

Perché l’ambiziosetto fiorentino almeno una cosa l’ha capita (veramente l’aveva capita pure il Tremonti), cioè che soldi non ce ne sono, che i capitalisti italiani tutto hanno meno che il capitale e, siccome senza denaro non si cantano messe, non resta che sperare nei fondi europei.

Che ormai sono diventati meglio della bacchetta magica di Mandrake: non solo dovrebbero risolvere il guaio economico ma nel frattempo, passando da Tremonti a Renzi, sono pure lievitati, passando da 45 miliardi a 180, senza che nessuno ci spieghi quale lievito abbia fatto crescere la torta.

E si, anche il Tremonti voleva risolvere tutto con i fondi EU. E c0m’è andata lo sappiamo bene: neppure lui è riuscito a farli spendere alle regioni, che ben si guardano di mettersi a maneggiare soldi dove c’è il doppio controllo nazionale e comunitario.

Perché finché si rubano soldi nazionali, fra una lungaggine processuale e pastette varie, un politico o un funzionario possono sempre potersela cavare.

Ma con l’Europa come si fa?

E allora dal 1995 tutto è fermo: i soldi non si spendono e Bruxelles se li riprende per darli a paesi più virtuosi.

Ovviamente, i plaudatores si Renzi spergiurano che il motorino fiorentino ci riuscirà a spendere questo benedetti 180 miliardi di euro, anche se non si capisce come farà visto che non on esistono più organi tecnico-finanziar in grado di fare le istruttorie di concessione di finanziamento.

Non sono state capaci le regioni di crearle in nove anni, figuriamoci se riesce Renzo a metterli in corsa in pochi mesi.

Perchè l’altro problema è il tempo: più si ritarda nel rimettere in moto la macchina, più aziende chiuderanno e il tessuto produttivo, man mano, morirà per mancanza di soldi e d’idee.

Ovviamente gli italici il problema non se lo pongono, loto sono sicuri che Renzi abbia una ricetta magica per risolvere il tutto.

Una specie di qualche arma segreta che cambi le sorti della guerra in corso. Una guerra dove – giusto per fare un’esempio – GE offre 13 miliardi per comprare Alstom e dove AT&T compra DirecTV per 50 miliardi di dollari, cifre che condannano per sempre i sogni di gloria di capitalisti senza capitali e di ducetti senza denari.