Se dobbiamo usare Milano come metro economico, non c’è da stare allegri.
Escludendo le migliaia di aziende pubbliche di proprietà di Comuni, Regioni, Province e Stato, e senza considerare settori del tutto morti come l’immobiliare e l’editoria, il resto delle aziende possono essere classificate in tre categorie:
A) quelle che vanno bene, riescono a stare sui mercati e hanno credito e cassa;
B) quelle che vanno così-così ma che non hanno possibilità di svilupparsi, per tutta una serie di ragioni, che vanno dalla poca capacità di presidiare i mercati alla scarsa possibilità di finanziarsi o farsi finanziare, dalla mancanza di un management adeguato alla poca capacità d’innovare;
C) quelle che non vanno proprio, sono fuori mercato, non hanno prodotti appetibili e senza alcuna possibilità di sopravvivere.
Ora, tenuto conto che questo 2013 si prospetta come un anno topico, che non farà sconti a chi sbaglia, il consiglio che si può dare alle aziende di tipo C è quello di non insistere nel combattere una guerra di logoramento: meglio chiudere bottega e calare la serranda cercando di non farsi troppo male.
Per le aziende di tipo B, meglio vendere baracca e burattini , al più presto possibile, e a qualcuno che – soldi in bocca – sia interessato a rilevare un’attività che lui, forte di capitali, idee e management sia in grado di mantenere in corsa; ed è l’unica soluzione perché l’alternativa è finire fra gli sfigati del gruppo C.
Quelle del gruppo A devono solo investire, investire e investire. Perché anche per loro c’è un rischio: il gruppo B, e quindi dover cedere a qualcuno meglio organizzato, strutturato e ben guidato per sopravvivere in anni dove la competizione diventerà sempre più feroce ed esiziale, sopratutto per chi non ha mentalità, struttura e soldi per battersi con un minimo di possibilità di successo.
In tutto questo conta sempre e comunque il fattore umano, cioè avere quel giusto numero di collaboratori, molto motivati e ben preparati, il che purtroppo significa sbarcare tutti quelli che non remano per una ragione qualsiasi.
Un’azienda oggi è come una portaerei in pieno Pacifico, dove ogni singolo marinaio deve essere ben conscio che è in guerra, tutti i giorni e a qualsiasi ora del giorno, e che se la nave prende un siluro (un cliente che lascia, un cliente che non paga, un cliente scontento), la nave comincia a imbarcare acqua. E con la nave sbandata e poi affondata, in pieno Pacifico, nessuno viene a salvarti, in parole povere e brutali, non ci sono altre navi dove trovare un posto di lavoro, così come non ci sono più navi da crociera con ricche feste e cotillion.
Perché siamo in guerra, una guerra lunga e sanguinosa, dove lo scopo non è morire per la propria patria ma fare in modo che qualcuno muoia per la sua. (George G. Patton).
Insomma, un gioco-guerra al massacro, in cui tutti rischiano di fare le fine della Concordia… E non si salva nessuno, neanche le startup, a quanto pare…
Dal mio punto di osservazione (il mitico Nord-Est) non posso che confermare: soprattutto tra le Pmi, a mio modo di vedere, un quarto sono “dead men walking”.
Ma la moria di aziende, non dovrebbero, da un certo punto di vista, aprire più opportunità a quelle poche che riescono a ‘cavalcare l’onda’ di questa infinita recessione che ha il sapore di un vero e proprio cambiamento di sistema?