Equivoco EU

Feriti dai gas nella prima guerra mondiale

L’Unione Europea nacque per evitare che gli europei continuassero a scannarsi come avevano fatto per millenni.

Poi questo sistema di sicurezza qualcuno ha voluto ampliarlo in progetto economico che, tecnicamente, è un assurdo.

Togliere le barriere fra diverse economie è come aprire le valvole di un circuito idraulico in pendenza: alla fine tutto il liquido va da una sola parte, cioè le economie più efficienti diventano più forti lasciando quelle meno efficienti con le sole. attività specialistiche o locali che però non potranno sostenere tutta la popolazione che c’era prima dell’unione economica.

Un sistema che si aggrava continuamente perché le aziende dei paesi meno efficienti dovranno chiudere, aumenta la disoccupazione, cresce l’emigrazione, lo stato incassa meno tasse e deve ridurre il welfare, in una spirale di immiserimento continuo.

Si può uscire da questa caduta?

Si, se si costruisce un welfare europeo per continuare a dare servizi ai più deboli, che però non potrà evitare l’emigrazione interna e fuori della EU.

Ma non si farà, perché nessuna zona ricca vorrà ridurre il suo reddito per aiutare i fratelli europei meno fortunati.

Quindi la EU è destinata al fallimento, un fallimento che sarà così grande che non ci saranno neppure i soldi per scannarsi.

Ultimo ridotto

Primavera 45, Mussolini & C. hanno capito che c’è poco da fare contro l’esercito e l’aviazione americana.

Eppure qualcuno vuole resistere.

Gli irriducibili vagheggiano di un ridotto in Valtellina, ultima fortezza di uomini, fortini e natura.

Con una speranza che quello che si dice – che la Germania abbia delle armi segrete – possa cambiare le sorti della guerra.

Nel paese provincialotto di allora, (come lo è pure adesso) un missile o un aereo a reazione possono essere credute armi risolutive, il che non è: alla fine, gli sgraziati Sherman americani di Patton distruggono i superstiti Tigre tedeschi e penetrano la Germania fino a Berlino come una lama di fuoco nel burro.

Mai, i provincialotti dell’Italia di allora avrebbero potuto immaginare che erano proprio quegli americani che scaricavano tonnellate di bombe convenzionali su ogni pezzo di strada e di ferrovia, avessero già pronta una bomba atomica che dopo 4 mesi avrebbe stabilito per sempre la supremazia militare americana propedeutica a quella economica e culturale che ancora oggi impera.

Il buon Renzi sembra proprio uno di quelli di allora che con un arma segreta cambia le sorti del disastro economico italiano.

Perché l’ambiziosetto fiorentino almeno una cosa l’ha capita (veramente l’aveva capita pure il Tremonti), cioè che soldi non ce ne sono, che i capitalisti italiani tutto hanno meno che il capitale e, siccome senza denaro non si cantano messe, non resta che sperare nei fondi europei.

Che ormai sono diventati meglio della bacchetta magica di Mandrake: non solo dovrebbero risolvere il guaio economico ma nel frattempo, passando da Tremonti a Renzi, sono pure lievitati, passando da 45 miliardi a 180, senza che nessuno ci spieghi quale lievito abbia fatto crescere la torta.

E si, anche il Tremonti voleva risolvere tutto con i fondi EU. E c0m’è andata lo sappiamo bene: neppure lui è riuscito a farli spendere alle regioni, che ben si guardano di mettersi a maneggiare soldi dove c’è il doppio controllo nazionale e comunitario.

Perché finché si rubano soldi nazionali, fra una lungaggine processuale e pastette varie, un politico o un funzionario possono sempre potersela cavare.

Ma con l’Europa come si fa?

E allora dal 1995 tutto è fermo: i soldi non si spendono e Bruxelles se li riprende per darli a paesi più virtuosi.

Ovviamente, i plaudatores si Renzi spergiurano che il motorino fiorentino ci riuscirà a spendere questo benedetti 180 miliardi di euro, anche se non si capisce come farà visto che non on esistono più organi tecnico-finanziar in grado di fare le istruttorie di concessione di finanziamento.

Non sono state capaci le regioni di crearle in nove anni, figuriamoci se riesce Renzo a metterli in corsa in pochi mesi.

Perchè l’altro problema è il tempo: più si ritarda nel rimettere in moto la macchina, più aziende chiuderanno e il tessuto produttivo, man mano, morirà per mancanza di soldi e d’idee.

Ovviamente gli italici il problema non se lo pongono, loto sono sicuri che Renzi abbia una ricetta magica per risolvere il tutto.

Una specie di qualche arma segreta che cambi le sorti della guerra in corso. Una guerra dove – giusto per fare un’esempio – GE offre 13 miliardi per comprare Alstom e dove AT&T compra DirecTV per 50 miliardi di dollari, cifre che condannano per sempre i sogni di gloria di capitalisti senza capitali e di ducetti senza denari.

Intellettuali traditori

La Grande Bellezza - arresto del narcotrafficante
La Grande Bellezza

Tenuto conto del poco valore aggiunto dato al paese dalla classe politica e, insieme ad essa, anche da una bella fetta della classe dirigente, è facile incolpare questi e dimenticare che la colpa più grave è di altri che hanno tradito il paese.

Sono gli intellettuali italici i maggiori responsabili della crisi morale che poi ha importanti effetti su tutte le altre crisi.

Accademici, scrittori, registi, sceneggiatori, scienziati, economisti, ricercatori, hanno smesso (dai tempi di Pasolini) di offrire alla classe dirigente la visione di cosa accade nel mondo, di cosa sia il paese e di cosa sta per accadere.

Il risultato? Una classe politica e dirigente che vola basso, alla cieca, senza nessuna idea di come è fatto il paese e sopratutto degli impatti delle grandi rivoluzioni in corso: globalizzazione, digitalizzazione, automazione spinta.

Tanto per dare un esempio di cosa accade in USA, basti pensare che da loro la discussione (a livello di Nobel) è di cosa fare di milioni di colletti bianchi che nei prossimi 10 anni non avranno più un ruolo a causa dell’automazione, l’applicazione dell’Intelligenza Artificiale e l’interconnessione fra sistemi digitali.

Da noi vediamo accademici che fanno convegni (per prendere soldi dagli sponsor in cerca di visibilità) dove si parla di temi orecchiati, di moda e spesso non adatti al nostro tessuto economico e sociale.

Il cinema e la letteratura non parlano mai del paese, non lo conoscono, forse se ne vergognano, e quando esce un film “realista” c’è il crucifige contro il regista che ha osato sciorinare sullo schermo i panni sporchi.

Ma neppure le storie belle e straordinarie, che veramente fanno onore al paese, sono portato alla luce per dare alla gente un senso di orgoglio e di appartenenza.

Abbiamo così una società con una classe dirigente cieca, la gran parte della popolazione che cerca di sopravvivere (e lo fa anche bene, visto che nessuno guida), e gli intellettuali chiusi nelle loro cerchie, che non tirano per la giacchetta i politici per avvisarli, per guidarli, ovviamente con gli strumenti di loro competenza, di dove va il mondo e come si evolve l’uomo.

Guernica dice tante cose. Eppure è solo un quadro.

Apocalipse Now è un film, eppure spiega tanto all’America meglio di qualsiasi analisi socio-politica del suo non volere ma dover essere potenza imperiale.

Cosí come La grande bellezza, dove l’oggetto di critica non è Roma, ma la cultura italica ben rappresentata da una nana con la sua minestra riscaldata.

Letta il Vecchio

Il pranzo del Gattopardo
Il pranzo del Gattopardo

Non parlo dello zio di Enrico Letta, quello che avrebbe dovuto essere il Visir di SB, consigliandogli strade sicure e percorsi poco accidendati.
Come è andata si sa: SB resta un riccastro con soldi, media e un partito politico maggioritario, a disposizione H24, che mai cancellerà dai libri di storia il bunga-bunga, la nipote di Mubarak e i salemelecchi di 400 hostess a Gheddafi.

Per non parlare di un’economia al collasso, riforme liberali mai fatte, una Pubblica Amministrazione sempre più inefficiente, arrogante e debordante.

Parliamo di Letta Enrico, un giovane quarantenne, un esponente di quella generazione perduta il cui unico desiderio è il potere, nella PA come nel privato.

E lui, Letta Enrico il Giovane Vecchio, l’ha avuto il potere. E pure il supporto del giovane Renzi e di un vecchio Presidente, quello che utilizza ogni mezzo per tenere in piedi un governo d’emergenza che però tutto fa meno che occuparsi dell’emergenza.

La verità è che Letta è un vecchio democristiano (appoggiato da un vecchio comunista) che non vuole distruggere il controllo dal centro di ogni piccolo più piccolo borgo, offrendo al potere locale modo di lamentarsi del governo centrale (che gli impone imposte e tasse cervellotiche) e la scusa per mantenere in vita società partecipate il cui unico scopo è sistemare parenti, amici e benefattori, oltre a dare lavoro a imprese che vivono solo di appalti pubblici.

E se non si taglia questo immondo legame fra centro e periferia, il debito aumenterà sempre di più e la PA centrale e periferica continuerà a difendere la sua esistenza, creando soli problemi a chi produce e fa vivere il paese.

La prova?

La pagliacciata delle città metropolitane e la non eliminazione delle province.

Come dire: siamo oltre il gattopardismo “del tutto deve cambiare perché tutto resti come prima”.

Siamo al tenersi quello di prima aggiungendo mani di stucco su una macchina ormai più ruggine che vernice.

Il risparmio non é mai guadagno

Spesa pubblica in Europa

Uno dei capolavori di mistificazione costruiti dalla classe dirigente italica è stato quello di far credere che tutti problemi sono nella spesa pubblica e che, ovviamente, tutte le soluzioni sono nel taglio della stessa.

Ovviamente, come tante leggende metropolitane, anche se uno sciorina statistiche che mostrano che la spesa italica non è poi cosí lontana da quelli di altri paesi, la gente continua a credere alla leggenda, perché è la spiegazione più semplice (spesa pubblica = tasse = meno soldi da spendere) e perché evita di far pensare al vero problema: il paese è poco produttivo, sia nel pubblico e sia nel privato, con un settore pubblico che spende tanto ma male e un settore privato che lavora molto ma produce poco.

Le ragioni sono note: nel pubblico si erogano tanti stipendi e sussidi (anche alle imprese) ma è una spesa allocata male, e basti pensare che si spende poco per asili nido e altre provvidenze per le donne, e non si spende in innovazione che spingerebbe la ricerca scientifica e tecnologica.

Nel privato (ad esclusione di quelle aziende che esportano e che se la giocano alla grande contro la Germania), ci sono un sacco di aziendine incapaci di avere una gestione manageriale (e non padronale), poco capitale (e quindi vivere attaccati alla tetta ormai sterile delle banche) il che non permette l’innovazione e l’automazione, unica strada verso il miglioramento dei prodotti e dei servizi.

Quindi, pure immaginando di tagliare con l’accetta la spesa pubblica e mettere un po’ più di soldi nelle tasche della gente, quale sarebbe il risultato oltre l’immediato? Solo rimandare la fine di queste aziendine che certamente non automatizzeranno oggi se non l’hanno fatto ieri quando il soldo c’era.

Che fare dunque? L’unica cosa è migliorare la spesa pubblica, indirizzandola a dare sussidi a chi cerca attivamente un lavoro, incentivare l’automazione nel pubblico, aiutare le famiglie con asili nido e scuola a tempo pieno, aiutare quelle aziende che investono in automazione e che vendono all’estero.

Scopo? Guadagnare di più come paese. E con più esportazioni e più soldi, dare più efficienza alla macchina pubblica e più aiuto a chi è in cerca di lavoro.