La povertà deve essere eliminata

Conviene a tutti

Come ha fatto Singapore a passare da un reddito pro capite di $500 del 1965 ai $73,000 di oggi?

Quando l’isola di Singapore divenne indipendente dalla Malaysia, nel 1965, era una piccola isola di 728 kmq, abitata da 1,8 milioni di persone, con bassa scolarità, grandi sacche di povertà, enormi problemi abitativi ed un reddito pro capite di $500/ anno

Nel 2021, Singapore aveva 5,9 milioni di abitanti ed un reddito pro capite di $73,000, con un incremento del 176% in mezzo secolo.

Un effetto di profonde riforme, rivolte soprattutto alla popolazione, in modo da far crescere il “capitale sociale” e far diventare l’isola attrattiva per investimenti nonché mettere in moto iniziative locali.

Le decisioni e le riforme più importanti, che hanno portato a questo risultato, sono state le riforme dell’istruzione e i grandi investimenti nei talenti locali, le riforme abitative che hanno fatto sì che oltre il 90% della popolazione diventasse proprietaria di immobili (rispetto al 29% del 1970!), le strutture retributive competitive: è stato il primo governo in assoluto a retribuire i lavoratori pubblici in modo simile al settore privato, con un approccio basato sulle performance economiche della nazione (come ha più volte suggerito il Nobel Robert Shiller).

Si è messa l’enfasi sulla coltivazione del capitale umano, perché se si elevano i cittadini dall’analfabetismo e dalla povertà, essi diventano parte attiva dell’economia e la fanno progredire.

Tutti coloro che in Italia vogliono mantenere la gente nella povertà (e ne godono!) sono i nemici di loro stessi, perché mantenere milioni di persone nella povertà, o tenerne altri milioni a rischio di diventare poveri, non fa crescere l’economia, che deve vivacchiare con produzioni e servizi con scarso valore aggiunto, e quindi in competizione con i paesi ancora più poveri.

Aver distrutto in modo sistematico la scuola (pagando poco gli insegnanti e con scuole fatiscenti o inesistenti) impedisce a larghe fasce di popolazione giovanile di poter accedere all’istruzione, soprattutto quella terziaria e superiore, e questo non consente alle organizzazioni di poter disporre di persone di elevate competenze che fanno crescere le aziende ed il valore aggiunto prodotto.

Aver consentito il degrado del centro di grandi città meridionali, per scopi puramente ideologici (mantenere l’economia del vicolo, sic!) e aver lasciato degradare enormi periferie costruite male, senza servizi e senz’anima, mortifica la gente che ci abita, e che finisce in quelle che la sociologia chiama “poverty trap”, cioè un luogo fisico, anche senza barriere, ma che impedisce alla gente di crescere ed evolversi.

Oggi più che mai, questo paese avrebbe bisogno di introdurre lo UBI (cioè il reddito universale di base) accompagnato dagli UBS, cioè i servizi di base per tutti e gratuiti, come la scuola (veramente gratuita), i trasporti locali, la connettività, l’elettricità e un forte piano per dare a tutti un’abitazione decente in un contesto che non sia una trappola della povertà.

Le risorse ci sono (basta abolire gli sprechi e la burocrazia) e conviene a tutti, non solo ai poveri

Stallo

Simulatore di volo della Prima Guerra Mondiale
Simulatore di volo della Prima Guerra Mondiale

Una parola che ha due significati: quello scacchistico, quando non c’è possibilità di vincere per nessuna delle parti, e quello che succede agli aerei in certe condizioni di volo.

Dal secondo si puó uscire, se il pilota è bravo e se la situazione non è disperata.

Dal primo non se ne esce se non ripartendo, magari con strategie migliori.

Ecco, la nostra classe dirigente (nessuno escluso) è riuscita nell’opera mirabile di avere contemporaneamente tutti e due tipi di stallo:
– nessuno (per incompetenza) sa come far ripartire il gioco (economico),
– l’economia sta stallando, con piloti che si alternano alla cloche, che vanno dal tecnico che cerca di cambiare i motori in volo, al capitano che si sta facendo gli/le assistenti di volo, a uno che, lasciati comandi, passa il tempo a raccontare agli sfigati passeggeri che stanno volando verso il migliore dei mondi possibile.

Andando a Sud

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Sto leggendo un libro, Going South, che dimostra come il Regno Unito di Gran Bretagna avrà, nel 2014, un’economia da terzo mondo. Appunto, come quella dei paesi del sud del pianeta, anche se l’espressione going south, nel gergo manageriale, significa andare male, perdere quote di mercato, bilanci in rosso.

Un libro di 360 pagine che spiega come la signora Thatcher e i suoi successori, (di entrambi gli schieramenti), abbiamo distrutto la manifattura britannica per favorire la finanza, quella che ha poi graziosamente ricambiato con una bella bolla finanziaria, che ha fatto lievitare solo gli stipendi di banchieri e dirigenti bancari, e costretto i governi a salvare le banche mentre 70 miliardi di sterline da evasione fiscale prendevano la via di paradisi fiscali anch’essi al sud: Antille, Cipro, Cayman, ma pure del Lussemburgo e della solita Svizzera.

Intanto, fuori della scintillante Londra, il paese perdeva gran parte delle aziende manifatturiere, sia per mancanza d’investimenti (dirottati sulla finanza e sugli immobili) sia per il drenaggio da parte delle banche di tutti i laureati brillanti allettati da stipendi di favola.  Un fenomeno che ha inciso su una struttura produttiva con poca automazione, lavoratori poco preparati e pochi addetti alla ricerca scientifica. Tutto questo nonostante il flusso di denaro derivante dal petrolio del Mare del Nord (oggi in esaurimento), che non è stato utilizzato per un’azione sociale e di welfare, come ha invece fatto la Norvegia.

Ora, tenuto conto di come sta il nostro paese, qualcuno potrebbe pensare che siamo anche noi in una situazione simile.  Sembrerebbe, ma non lo è, perché è vero che in Italia non c’è un mercato di capitali per finanziare le imprese produttive, è anche vero che l’enorme risparmio italico è congelato per oltre metà in immobili, ma è anche vero che un’altra metà è ricchezza finanziaria e che l’Italia ha ancora una diffusa manifattura che ci fa di noi ancora un grande paese esportatore e con aziende leader mondiali di prodotto.

Accanto a questi dati in chiaroscuro c’è peró una massa consistente di aziende (e loro dipendenti) che non hanno possibilitá di stare sul mercato, ed è con questa brutale realtá che bisogna fare i conti.

E non sarà certo la promessa di Monti di restituire 40 miliardi alle imprese che fornirà liquidità al sistema:

–  perché molte imprese dovranno utilizzare quei soldi per sanare debiti con banche, fisco e INPS e magari pure con qualche strozzino;

– perché, se rimane qualche spicciolo, in cosa dovrebbero investire queste aziende fuori mercato?

Non è perció una situazione che puó risolvere il singolo ma servirebbe un’azione politica.  Ma, come tutti vediamo, la politica è alla commedia dell’arte, con guitti, pazzoidi e vecchi col catetere che poco capiscono di cosa accade fuori del Palazzo e delle TV. Nel mondo reale.