Stiglitz spiega il momento economico

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Al di là di tutte le chiacchiere risolutive della crisi economica, da parte dei politici vecchi e spompati o annunciate da parte di quelli nuovi e improvvisati, l’economia mondiale e quella di ogni paese è soggetta a un semplice stress:  i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri mentre le classi medie s’impoveriscono impedendo ai loro figli di migliorare la loro esistenza come avevano potuto fare i loro nonni e i loro genitori.

In questo video Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’Economia, colui che ha scoperto che l’aumento della redditività è funzione degli investimenti in  fattore capitale, cioè in macchine, in automazione e quindi in una maggiore preparazione tecnico scientifica del mondo del lavoro, spiega le ragioni della crisi e come dovrebbe essere affrontata dagli stati e dalle aziende per ridurre le disuguaglianze sociali che le sciagurate ricette neo-liberiste (senza correttivi) hanno accresciuto fino ad impoverire molta parte delle popolazione mondiale.

Monti e il sudoku

A quanto pare le varie ghenghe politiche vanno alle elezioni con due profonde convinzioni: che non ne uscirà una maggioranza e che alla fine dovranno riaffidarsi a Monti, che è ormai per gli stranieri una garanzia in quanto è un tecnico.
Ma è proprio quell’essere “tecnico” che porterá un governo Monti “politico” a fallire qualsiasi obiettivo, sopratutto la ripresa economica e la riduzione della disoccupazione.
I tecnici infatti, i bocconiani e quelli che albergano a Via Nazionale, credono che un’economia sia una specie di sudoku che, per quanto complesso, ammetta un certo numero di soluzioni finite fra cui si possono selezionare quella più adatta.
Il problema è che questo non è per niente vero, e che qualsiasi manovra classica (monetaria e/o fiscale) non solo altera i paramentri del gioco, trasformandolo in un altro, ma, essendo le soluzioni applicate fra quelle prevedibili, accade che chi fa parte de sistema si adegua subito a manovre ben note e senza fantasia, vanificando del tutto le operazioni del governo.
Monti, classico giocatore di sudoku, circondato da furbi giocatori di rubamazzetto, fallirà se applicherá logiche analitiche e razionali ma, data la natura dell’uomo, è molto difficile aspettarsi da lui che cambi registro e improvvisi qualche cosa di non usuale.

La ragione? Perché lui non può sfuggire alla regola che ogni azione pubblica, che non sia usuale, o è sbagliata, oppure, se giusta, costituisce un precedente pericoloso.

Progresso per tutti

Per due volte oggi mi sono imbattuto in Henry Ford. La prima volta parlando con un ex collega che mi citava una bella frase dell’uomo che mise l’America su quattro ruote: “Non c’è progresso se non è progresso per tutti“. Frase che ben s’accorda con l’aneddoto riportato nel libro Race Against the Machine , un saggio che analizza la disoccupazione crescente come ingenerata dall’automazione e del perché, piuttosto che combattere la macchina, dobbiamo imparare a convivere con macchine che oggi sono in grado di sostituire anche milioni di colletti bianchi, dopo che hanno eliminato di milioni di braccianti e altrettanti milioni nell’industria e nella manifattura.

Ford, mostrando al capo del sindacato dell’auto (UAW) le linee piene di robot, disse scherzando: adesso prova a farti dare il contributo sindacale da questi operai. E il capo del sindacato, con prontezza: e tu prova a fargli comprare le tue auto.

In questo scambio di battute c’è la ragione della crisi che, almeno negli USA, ha lo strano aspetto della jobless recovery, con aziende che fanno tanti profitti, i più alti degli ultimi 50 anni, ma non assumono più nessuno, anche se i salari sono i più contenuti degli ultimi 50 anni.

La ragione è che le imprese hanno colto l’occasione della crisi per fare una manovra contro intuitiva, hanno investito in automazione e in organizzazione, e hanno cominciato ad eliminare i lavoratori semi-qualificati, quelli che possono essere sostituiti da macchine o da processi gestiti da macchine che parlano ad altre macchine che magari sono di altre aziende.

E tutto questo perché i costi dell’automazione sono terribilmente scesi in proporzione alla potenza di calcolo disponibile oggi, ed anche perchè le aziende e le persone sono sempre connesse, e questo facilita il dialogo fra sistemi eterogenei di aziende diverse e permette ai lavoratori più qualificati di poter lavorare continuamente, attraverso il loro smartphone o attraverso un tablet, dialogando da qualsiasi parte del mondo con i sistemi informativi aziendali o quelli di terze parti.

Le aziende premiano con salari importanti questo tipo di lavoratori super star, mantengono a salari bassi quei lavoratori non qualificati, di cui c’è un’abbondante riserva nazionale o d’importazione, ed eliminano quelli che stanno in mezzo, la gente della classe media facilmente sostituibile dalle macchine, la cui potenza di calcolo è oggi abbastanza grande per fare cose che una volta faceva un impiegato ma non ancora abbastanza da poter guidare una gru, un camion, fare un’iniezione a un ammalato, fare la manicure o tagliare i capelli a una signora. Così come le macchine non hanno le capacità creative, di intuito e di relazione che devono avere i lavoratori di alto livello: Amministratori Delegati, Direttori Marketing, Direttori Finanziari, Direttori di Sistemi Informativi, Responsabili di Produzione.

Lo scenario è quindi quello di una massa di persone, spesso di mezza età, che non può più lavorare come faceva prima, non può accedere ancora alla pensione, non è in grado di assicurare ai figli possibilità di accedere all’università che oggi è l’unico mezzo per poter essere considerati nell’universo lavorativo dove si richiedono solo elevate conoscenze.

Un panorama che i politici non comprendono, anche perché tendono a imputare il problema della disoccupazione ad altri fattori (inflazione, globalizzazione) quando la ragione dei bassi consumi è molto semplice: i lavoratori ad alto reddito, gli imprenditori, i professionisti e gli investitori, soddisfatte le loro esigenze primarie e secondarie, hanno abbastanza reddito da metterlo da parte e non spenderlo, mentre i lavoratori di basso livello, con salari di mera sopravvivenza, non solo non riescono a soddisfare le loro esigenze primarie, ma devono pure indebitarsi per soddisfare qualcuna delle secondarie, magari facendo mutui su mutui e prestiti su prestiti, per consumi comunque irrisori.

Gli altri, quelli espulsi dal mondo del lavoro, vivono di terrore, consumano i risparmi, cercano di riciclarsi, senza però un aiuto che li faccia accedere a conoscenze superiori che permettano loro di accedere ai lavori di livello superiore.

Una situazione non gestita, che non viene compresa neppure dal sindacato, uno dei maggiori responsabili della disoccupazione avendo fatto inutili battaglie per difendere posti di lavoro che sono comunque spariti, aderendo alle profferte idiote dei datori di lavoro marginali, quelli che hanno creduto di salvare le loro attività abbassando (di fatto) i salari, e rimandando di qualche anno la morte delle loro aziende dove avrebbero dovuto investire in automazione salvando quella parte del personale che poteva convivere con le macchine.
E anche le manovre dei politici, bacchettati dalle banche centrali per mandare la gente in pensione quando più tardi è possibile, non servono a molto in quanto la gente rimane a lavorare (se c’è ancora il posto di lavoro) ma con una produttività sempre più bassa perchè non coadiuvata dall’automazione, e perché è stato dimostrato che il lavoratore, pagato male e terrorizzato, produce poco, con buona pace dei metodi di galea veneziana che un ministro voleva applicare ai lavoratori, sia pubblici che a quelli privati. E se si produce poco, si vende poco, e se si vende poco s’incassano poche imposte e pochi contributi.

La soluzione non è semplice, e come al solito, contro intuitiva: bisogna prendere atto che molte persone non sono ricollocabili perchè non in grado di convivere con le macchine, e quindi, o vanno riaddestrate e guidate verso nuovi percorsi di vita, o vanno pensionate senza falsi moralismi, altrimenti avremo quelle situazioni, già purtroppo viste, di aziende che si spengono lentamente, con uno sciupìo di soldi, spesso pubblici, che non possono resuscitare uno zombie che dovrebbe poi utilizzare le residue meschine forze contro macchine sempre più potenti.

Dobbiamo utilizzare le possibilità delle macchine per far progredire tutti, altrimenti perderemo tutti.

Non ci serve un grillo saggio


In un paese di Pinocchi, bravissimi a mettersi nei casini e sempre pronti a chiedere un tocco di bacchetta magica allo stregone di turno, mancava un grillo parlante. E l’abbiamo trovato!

Un grillo che parla, parla, parla, parla. Che magari dice pure cose giuste e denuncia fatti veri ma, purtroppo, come il grillo di Collodi, sa solo fare da specchio delle malefatte dei politici e dei loro 4 o 5 milioni di loro pretoriani, clientes, famigli e famiglie.

Il problema che a Grillo, e come prima a Bossi e a Di Pietro, manca la capacità di vedere il quadro d’insieme, the big picture, come dicono gli americani; e se non si ha questa capacità (in un mondo complesso e iperconnesso) é difficile elaborare una seria strategia per uscire dalle sabbie mobili fatte di debiti, crisi strutturale, necessità di essere moderni e sopratutto capire che ruolo dobbiamo avere nella macchina mondiale.

Manca a lui (e pure a tutti gli altri!) una strategia! Ed questo é il nostro male: vivere alla giornata, dell’eventuale. Sperando che la risacca porti a riva qualche marine che cacci i tedesconi cattivissimi e magari ci porti pure un bel pacco di dollari di aiuti.

Ma quel tempo e quell’età sono finiti nell’89. L’unico asset che valeva qualcosa era il nostro territorio come base strategica. Ma l’unico nemico s’é squagliato. Senza combattere. E quelli del KGB sono corsi a spartirsi le spoglie dell’URSS. Al più, agli americani, basta Sigonella, che é cosa loro.

Insomma, é inutile aspettare che arrivino i nostri. Non verrà nessuno. Nè vicino, perché ha guai come i nostri o sta per finirci con tutte le scarpe. E neppure lontano, perché anche i cinesi hanno le loro belle gatte da pelare, visto che si parla di colpi di stato e d’importanti congressi del PCC rimandati.

Siamo soli, e pure separati in casa con gli alleati europei, di cui é evidente la voglia di tutti di sostituire al tutti per uno un più prosaico egoistico ognuno per se e Dio per tutti.

Questo lo scenario e giuste le denunce del grillo sapiente che, proprio perché sapiente, sa. Ma una volta che sappiamo, che facciamo? Una volta tolte le termiti, cosa ne facciamo questo edificio marcio? Qual’é la strategia per raddrizzarlo e rafforzarlo? Non sembra che ce ne sia una che sia una. Si rivede solo un film già visto: personaggi nuovi, saliti al soglio a furor di popolo, e senza un minimo di progetto.

Chi è causa del suo mal…

…pianga se stessa, anche se a piangere saranno anche milioni di europei. Questo dovremmo dire ad Angelina Merkel che oggi dichiara che l’economia tedesca sta attraversando il peggior momento dopo la seconda guerra mondiale, un momento difficile per l’euro, “molto di più di una moneta, il simbolo di mezzo secolo di pace, di libertà e di benessere sociale”, ha detto la capo del governo tedesco. Secondo cui, nella condizione in cui siamo. “Se l’Europa va male, la Germania va male. Abbiamo bisogno dell’Europa, perchè la Germania vada bene“.


Purtroppo a lanciare questo monito terribile, forse foriero di nuove guerre in Europa, è la stessa signora Angelina Merkel, quella che ha accettato, e senza fiatare, i diktat della BuBa quando ordinava al pavido, vanesio, smidollato Trichet (e alla sua corte di Bini Smaghi & C.) di non fare una politica monetaria espansiva. Anzi! Di alzare i tassi, anche in piena tempesta, e anche quando personaggi come Krugman, già nel 2010, dicevano che la BCE doveva fare una politica espansiva.

Ma i tedeschi sono così: finché non vedono le macerie non si convincono di non essere nel giusto.