Senza speranza

Tom Hanks in Cast Away
Tom Hanks in Cast Away

Pare che per essere apprezzati in rete bisogna scrivere cose belle e positive, insomma, fare il Berlusconi, che illude quel che resta della classe medio alta che saranno forever rich e magari, con un po’ di botulino, pure forever young.

Oppure fare lo Scalfari, che su Repubblica illude i poveracci della classe medio bassa che il sol dell’avvenire, renziano o lettiano, li porterà in un futuro migliore.

O sproloquiare come Grillo e Casaleggio, che credono che l’agorà digitale possa sanare uno Stato malato di bulimia fiscale e mani bucate.

Purtroppo non reco buone notizie: la situazione economica italica è senza speranze, possiamo solo peggiorare.

Se ci va bene, possiamo galleggiare per anni in una stagnazione senza sbocchi.

Un  po’ come Tom Hanks in Cast Away: una lunga attesa di un miracolo.

Non vi piace? Non ci posso fare niente. E neppure voi.

A meno che non sappiate fare qualcosa che possa servire in un paese straniero.

Non vi sono simpatico? Non devo piacere a tutti.

Mi basta che quelli che possono salvarsi se ne vadano in un posto migliore.

Dallo stallo alle stelle.

Welfare

Partorito dall’accoppiamento “contro natura” fra due bande di politicanti intenti solo ad arricchirsi, il governo di Letta “Il Giovane” non ha combinato un bel nulla, salvo il patetico gesticolare del premier davanti ai giornalisti a spiegare sue strategie che non sono né efficaci e neppure fattibili, visto che le due bande non recedono un passo dalle loro strategie pre elettorali.

Il paese è in uno stallo totale. Persino i nuovi della politica – i grillini, i Renzi, i De Magistris, i Pisapia, gli Emiliano e i Marino – hanno capito che è meglio non sbilanciarsi in progetti irrealizzabili, data la mancanza cronica di denari e la loro incapacità a tagliare gli sprechi.

Ammesso che sia un bene tagliare gli sprechi o non farlo.

Perché il politicume e l’Amministrazione Pubblica se facessero qualcosa per ridurre la spesa inutile, creerebbero altri disoccupati nelle centinaia di migliaia di aziende che vivono di soldi pubblici, e se non fanno nulla, fanno crescere il debito e la necessità di tassare ancora di più.

La soluzione potrebbe essere quella di Obama e Bernake, una classica manovra keynesiana dove la spesa inutile viene convertita in spesa utile, procurando alla nazione una serie di infrastrutture e di servizi che le permettano un salto di qualitá e un affrancamento di risorse oggi bloccate.

Come lo sono le donne, schiacciate nella morsa casa-lavoro-bambini-anziani che impedisce loro di lavorare serenamente e anche di poter lavorare.

D’altra parte i paesi ricchi del Nord Europa, hanno sempre investito in servizi che – direttamente o indirettamente –  aiutano le donne, come ha dimostrato l’economista americano Peter Liendert in “Growing Public“.

Si potrebbe investire nella scuola a tempo pieno – dall’asilo all’università – eliminando ogni ipotesi di far pagare tasse scolastiche, rette e pasti a una popolazione che già oggi non ce la fa a combinare il pranzo con la cena.

Così come sarebbe vincente fare in modo che degli anziani se ne occupino le strutture pubbliche e non affidarli al fai-da-te delle famiglie, costrette ad arrangiarsi in proprio e con le badanti, magari volenterose, ma certamente non specializzate nella cura di chi ha costruito questa nazione e ha il diritto a una vecchiaia da cittadino e non da “ingombro” da gestire.

D’altra parte la spesa pubblica italica complessiva non è nemmeno piccola (rispetto al PIL e agli altri paesi UE), ma solo mal diretta e indirizzata.

Perciò, caro Letta, smetta di gesticolare e si dia da fare… se lo sa fare.

Faide, scarpe e commercio elettronico

Sbandieratori

Roberto Liscia di Netcomm spesso si chiede perché, in un paese che fa le scarpe a tutto il mondo, (nel senso che le produce per tutto il mondo), non si riesca ad avere una struttura nazionale di commercio elettronico dedicata alle scarpe, e che a vendere la scarpe online siano Zalando, azienda tedesca, Spartoo, che sta a Grenoble o Sarenza che se ne sta a Parigi.

Certo che è molto strano ad un occhio superficiale, ma poi basta andare in quei distretti monotematici, dove si fanno solo scarpe, solo rubinetti, sedie, mattonelle e parmigiano e ci si accorge subito del perché: basta sentire cosa dicono i “compaesani” del paesano, diventato ricco e famoso, basta vedere i loro sguardi colmi d’odio quando vedono passare la BMW del paesano di successo.

Oddio, le loro frasi non sono d’invidia palese, tutt’al più carognate a mezza bocca del tipo ” se non era amico di quello“, “è uno che non paga“, “il figlio è cocainomane“, insomma il classico taglia e cuci di un paesone italico arricchito, dove di fare sistema non se ne parla proprio.

Ognuno con la sua fabbrichetta di tacchi o di tomaie che si sente imprenditore capace, ma anche sfortunato pitocco cui non è capitata la botta di sedere del paesano che passa in elicottero, che vola in borsa e che sta sempre sui giornali.

Ora, con queste basi da faida feudale, dove il collega imprenditore è più un nemico della contrada avversa, quella che ha scippato (con l’imbroglio, ovviamente) il Palio dell’anno scorso, com’è pensabile che questi, che stanno ancora all’epoca delle crociate, possano mettere insieme forze e denari per organizzare un commercio elettronico quando sono così intenti (e contenti) di azzuffarsi da non accorgersi che i cinesi gli stanno fregando il lavoro in casa?

Pianto greco

Capre cashmere
Capre cashmere

Anche Loro Piana è andato agli stranieri. A quelli di LVMH per una somma abbastanza ridicola: solo 2 miliardi di euro.

E allora? Oggi servono soldi e management per competere, e non c’è posto per tutti. Sopratutto ne servono per presidiare tutti i mercati interessanti.

D’altra parte è avvenuto lo stesso in altri settori dove di soldi ne servono tanti: nell’aviazione, dove i competitor sono solo due, in pratica, (Airbus e Boeing), nel farmaceutico, dove i grandi player sono meno di dieci, e come avverrà in ogni settore dove la presenza è globale, dove servono grandi capitali per ricerca, design, innovazione, comunicazione e pubblicità.

E in questo le nostre aziende, anche se con grandi prodotti, non hanno nessuna possibilità di emergere: troppo piccole, poco capitalizzate, dominate da un padrone o da una famiglia, senza manager, senza ricambio generazionale, insomma con tutti i parametri di base sbagliati per poter sopravvivere nel nuovo scenario.

L’Italia si avvia a un declino inesorabile, con una sola possibilità residuale: essere incubatore di nuove aziende che poi dovranno essere cedute visto che non formiamo manager capaci di sostenere una sfida, ma al massimo buoni esecutori, e non avremo mai una struttura finanziaria che possa pompare capitale di rischio per far crescere le aziende alle dimensioni adeguate.

Perciò il pianto greco sulle aziende andate allo straniero è inutile come piangere sul latte versato e sulla verginità perduta.

Il giardino del ciliegio

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Sono andato in visita ad amici in Liguria, zona che conosco poco, mai fermatomi oltre Genova, e sempre attraversata di corsa per andare in vacanza a Saint Tropez e quando lavoravo a Sophia Antipolis per Société Genérale, sulle colline della Costa Azzurra.

Una regione che non m’attira, nonostante i media milanesi, (cioè tutti i media), ne abbiano sempre esaltata la bellezza. Sarà perché venendo dalla Campania, quelle spiagge strette e nere, schiacciate fra un’Aurelia puzzolente di traffico e una ferrovia degradata che la costeggia, non c’è proprio paragone con le grandi spiagge dorate delle coste campane o con gli scenari di favola della Costiera Sorrentina, per non parlare dell’inebriante sensualità sontuosa di Ischia e Capri.

I miei amici abitano in una frazione di collina, quattro chilometri dal mare, dopo una salita contorta e tortuosa, in uno scenario di solitudine che ben si presterebbe a trovare un buco dove torturare in pace qualche FDP senza che le grida per le unghie strappate e il waterboarding, CIA style, suscitino un moto di curiosità dei pochi vecchi che vi ci abitano.

La loro è una casa di campagna, anche se la campagna non c’è, ricoperta da anni della scorza di seconde case dei milanesi che qui giungono a frotte e in massa nell’illusione che un fine settimana, passato in gran parte a respirare i gas di scarico delle auto incolonnate da Assago a Ventimiglia, possa esorcizzare l’inevitabile collasso dei loro polmoni inquinati sotto le polveri sottili delle migliaia d’impianti di riscaldamento accessi, da ottobre ad aprile, senza soluzione di continuità, impianti che i sindaci ben si guardano di nominare quando puntano comodi il dito sul traffico automobilistico che poi, loro stessi, con migliaia d’inutili semafori contribuiscono a creare.

I miei amici hanno una casa minuscola, carina, e di fronte, residuato di chissà quali spartizioni ereditarie, oltre la stretta strada, quello che loro chiamano un giardino, cioè un triangolo di terra dove s’erge solitario un ciliegio, più fonte di casini che occasione di rimirare il po’ di bellezza che potrebbe spandere.

Infatti, il loro inquilino, fattosi prestare da loro pure la scala, ritiene che i frutti del ciliegio siano res nullius, e quindi, tenendo fede al più bieco pregiudizio contro gli slavi, si fa sontuose scorpacciate di ciliegie altrui alla faccia dei poveri legittimi proprietari.

Un fatterello che sembra un’immagine meravigliosamente concentrata delle realtà italica, dove il triangolo di terra, che pomposamente i miei amici chiamano giardino, potrebbe essere il posto di lavoro nella P.A. o in un’impresa di questa parassitaria, o il piccolo commercio, o la pensione sociale e d’invalidità, più o meno legittimamente intascate, tutte cose che la crisi e i cambiamenti tecnologici incombenti stanno per modificare in modo totalmente inconcepibile, in altri tempi, quando il cambiamento poteva essere digerito, mentre oggi è così rapido e devastante che neppure qualche sparuto intellettuale dei nostri riesce a capirne vastità e portata.

E il ciliegio, con i suoi frutti non goduti, mi sembra la speranza vana per un futuro fruttifero per i figli, che non ci può essere più, perché altri, in altri posti del mondo, godranno del cambiamento, mentre da noi, quei pochi che rimarranno, dovranno fare da affittacamere e camerieri per ricchi e benestanti di altri paesi, quelli che non hanno mai creduto che il mondo fosse tutto in un triangolino d’erba ben pettinata, ma nella vastità di progetti ampi e maestosi che hanno bisogno di grandi menti e grandi idee, cose entrambe che mancano del tutto alla ridicola classe dirigente italica (nessuno escluso) che crede di essere moderna quand’è ancora abbarbicata a quattro sassi, aridi e infruttiferi, come le loro menti irrancidite.