Tanto pe’ campa’

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Una tizia della TV statale diceva oggi che c’era un’aria di festa dalle parti dei palazzi, perché finalmente abbiamo un governo, neanche se Letta “il giovane” fosse stato eletto Miss Qualchecosa di qualche fetente di paesotto della provincia italica, di quelli pieni di avvinazzati al bar, struscio di basilischi in attesa di posto pubblico, ragazzotte in fregola per accasarsi, sindaco, farmacista, medico condotto e maresciallo dei carabinieri  a riguardare che tutto sia perfettamente immobile come sempre, da secoli e nei secoli dei secoli.

Che poi, cosa ci sia da stare allegri per avere un governo che non ha un programma, non ha un progetto, non indica un futuro e forse nemmeno ce l’ha un futuro che gli permetta di fare qualcosa di sensato e utile.

Per noi, ovviamente.

Almeno gli idiot savants, che sopportiamo da decenni come “tecnici”, avevano quest’alibi che, essendo professori, avessero una qualche ricetta per sanare il paese, cosa rivelatasi, oltre ogni ragionevole dubbio, come fallace, visto che debito pubblico, spesa pubblica, disoccupazione, calo del PIL e della produttività corrono tutti insieme appassionatamente, a chiarire a tutti che un tecnico è fondamentalmente un teorico incapace di far fruttare anche un punto ristoro su una spiaggia a ferragosto.

Letta, o meglio, the master puppeter, come con perfidia British il Financial Times definisce Napolitano, ha fatto un governo di larghe intese e pure di larghe vedute, dove mette donne, immigrate, vecchi arnesi della politica, un po’ di gente legata alla Chiesa, un’abortista e una leggera spolveratina di qualche altro tecnico che, guarda caso, continua ad essere “distolto” da quel sistema bancario irresponsabile e colpevole di tutti i guai recenti e di quelli prospettici che pare debbano arrivare con un altro pasticcio finanziario che dovrebbe scoppiare entro giugno, almeno secondo alcune Cassandre americane.

Ce la farà Letta “il giovane” a risolvere qualcosa? Difficile. Forse impossibile.

Il suo compito principe sarebbe quello di aiutare in esclusiva le aziende che esportano e quelle turistiche, e quindi liberarle di fardelli di ogni genere, e questo per la semplice ragione che sono queste le uniche che portano valuta e che possono dare una continuità economica al paese.

Ma aiutare queste aziende significa far aumentare la loro produttività, quindi aiutarle ad automatizzare, sia nei processi produttivi sia in quelli amministrativi, questo però comporta che qualcuno si dia seriamente da fare per fare in modo che le aziende che investono in innovazione e automazione siano agevolate sul piano fiscale e che la PA, almeno nei confronti di queste aziende, che ci danno da vivere, si mostri più che efficiente.

Ma chi lo fa? E sopratutto, chi lo capisce?

Letta “il giovane” o il suo puparo che non mi sembra abbiano chiaro cosa accada nel mondo e nel paese?

Abbi dubbi, diceva Bennato. E io ne ho. Molti.

Quasi certezze che anche Letta combinerà poco o nulla.

Per noi, ovviamente.

La colpa della Thatcher

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The witch is dead (la strega è morta), una canzoncina tratta dal film Il mago di Oz, è al secondo posto fra i brani più ascoltati in UK.

Quelli che odiavano la Thatcher (me compreso) si sono sfogati così, come se la morte della strega potesse eliminare i giganteschi danni fatti al Regno Unito (e al mondo) dalla signora che s’era fatta rifare il seno dalla sanità pubblica.

Tanti danni. Tantissimi. E in questo aiutata da Reagan e dalla banda Clinton, tutti insieme concordi nel lasciare le banche libere di fare disastri, da cui solo pochi paesi stanno uscendo, anche se con ferite non rimarginabili.

Ma il danno più grave inferto al tessuto economico dalla strega Maggie è di aver snerbato il sindacato – e in questo imitata in tutt’ Europa –  con la conseguenza che il sindacato è stato messo in un angolo e ha cessato il suo ruolo darwiniano nella società economica che è quello di favorire la crescita delle imprese sane.

Perché, paradossalmente, il sindacato ha un ruolo positivo quando fa il suo mestiere, cioè chiedere più salario e migliori condizioni di vita e di lavoro.

Il sindacato diventa un pungolo per le imprese a migliorare. Un soggetto che costringe l’impresa ad automatizzare che, come insegna Stiglitz, fa aumentare la produttività e permette di avere lavoratori più specializzati, meglio pagati anche se magari un numero inferiore a prima dell’automazione.

Invece, un sindacato bastonato, sconfitto non puó che limitarsi a difendere quello che c’è e certamente non a chiedere di più.

La prova l’abbiamo in Italia: salari di fame, poca produttività, nessuna automazione, innovazione che non si fa e in compenso un sacco di posti di lavoro (pagati poco), nel pubblico e nel privato, solo sprechi di denaro e illusioni per le imprese e i lavoratori che le cose continueranno sempre così. Ma non è così: la concorrenza mondiale alla fine distrugge prima le imprese poco competitive e poi un sistema economico che si regga sulla distribuzione iniqua della ricchezza, ormai in mano a poche persone che, non pungolate da un sindacato combattivo, certamente non aumenterà  i salari spontaneamente.

E come dice l’adagio “chi troppo vuole (solo per se) alla fine nulla stringe”

Andando a Sud

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Sto leggendo un libro, Going South, che dimostra come il Regno Unito di Gran Bretagna avrà, nel 2014, un’economia da terzo mondo. Appunto, come quella dei paesi del sud del pianeta, anche se l’espressione going south, nel gergo manageriale, significa andare male, perdere quote di mercato, bilanci in rosso.

Un libro di 360 pagine che spiega come la signora Thatcher e i suoi successori, (di entrambi gli schieramenti), abbiamo distrutto la manifattura britannica per favorire la finanza, quella che ha poi graziosamente ricambiato con una bella bolla finanziaria, che ha fatto lievitare solo gli stipendi di banchieri e dirigenti bancari, e costretto i governi a salvare le banche mentre 70 miliardi di sterline da evasione fiscale prendevano la via di paradisi fiscali anch’essi al sud: Antille, Cipro, Cayman, ma pure del Lussemburgo e della solita Svizzera.

Intanto, fuori della scintillante Londra, il paese perdeva gran parte delle aziende manifatturiere, sia per mancanza d’investimenti (dirottati sulla finanza e sugli immobili) sia per il drenaggio da parte delle banche di tutti i laureati brillanti allettati da stipendi di favola.  Un fenomeno che ha inciso su una struttura produttiva con poca automazione, lavoratori poco preparati e pochi addetti alla ricerca scientifica. Tutto questo nonostante il flusso di denaro derivante dal petrolio del Mare del Nord (oggi in esaurimento), che non è stato utilizzato per un’azione sociale e di welfare, come ha invece fatto la Norvegia.

Ora, tenuto conto di come sta il nostro paese, qualcuno potrebbe pensare che siamo anche noi in una situazione simile.  Sembrerebbe, ma non lo è, perché è vero che in Italia non c’è un mercato di capitali per finanziare le imprese produttive, è anche vero che l’enorme risparmio italico è congelato per oltre metà in immobili, ma è anche vero che un’altra metà è ricchezza finanziaria e che l’Italia ha ancora una diffusa manifattura che ci fa di noi ancora un grande paese esportatore e con aziende leader mondiali di prodotto.

Accanto a questi dati in chiaroscuro c’è peró una massa consistente di aziende (e loro dipendenti) che non hanno possibilitá di stare sul mercato, ed è con questa brutale realtá che bisogna fare i conti.

E non sarà certo la promessa di Monti di restituire 40 miliardi alle imprese che fornirà liquidità al sistema:

–  perché molte imprese dovranno utilizzare quei soldi per sanare debiti con banche, fisco e INPS e magari pure con qualche strozzino;

– perché, se rimane qualche spicciolo, in cosa dovrebbero investire queste aziende fuori mercato?

Non è perció una situazione che puó risolvere il singolo ma servirebbe un’azione politica.  Ma, come tutti vediamo, la politica è alla commedia dell’arte, con guitti, pazzoidi e vecchi col catetere che poco capiscono di cosa accade fuori del Palazzo e delle TV. Nel mondo reale.

Bambini vinciuti

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Ci sono due tipi di bambini: quelli che hanno dei desideri, (come tutti i bambini), ma sono disposti ad aspettare i tempi giusti perché la loro voglia si possa concretizzare; e poi ci sono quelli “vinciuti“, termine napoletano che sta per “bambino viziato”, quello che, appena strepita, viene accontentato ad horas da nonne, madri e zie premurose che il piccolo possa soffrire perché non ottiene subito il dolce, la caramella, il giocattolo, il gelato o il giro sulle giostre.

Ora, si dà il caso che negli Stati Uniti abbiamo fatto degli esperimenti con le due tipologie di ragazzini, cui si poneva un bel dilemma per un bambino: mangiare subito un marshmallow o aspettare la fine dell’esperimento (dopo 15 minuti) e poterne mangiare due.

Questi fanciullini sono stati poi seguiti negli anni, e si è fatta una singolare scoperta: i ragazzini che si strafogavano subito l’unico marshmallow, non hanno combinato niente di particolare nella vita, un po’ come quelli di un altro esperimento dove s’è visto che quelli che si danno da fare troppo presto in questioni di sesso hanno più probabilità di drogarsi, bere, avere comportamenti a rischio, prendere l’AIDS e altre malattie sociali.

Gli altri, quelli che hanno atteso pazientemente il momento in cui invece di un marshmallow potevano papparsene due, hanno avuto risultati migliori a scuola e nella vita, compreso un indice di massa corporea (BMI) migliore.

Ora, se applichiamo quest’evidenza al nostro disgraziato paese, vediamo subito che il disastro senza uscita in cui siamo finiti è dovuto a una massa enorme di gente “vinciuta” che ha preteso, magari anche poco, ma l’ha voluto subito:   il posto pubblico, il piccolo appalto, la pensioncina, tutte cose che non arricchiscono, ma che danno quel senso di sazietà immediata che è mangiarsi un marshmallow subito invece di pensare a costruire qualcosa per domani.

Visti da Milano

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Se dobbiamo usare Milano come metro economico, non c’è da stare allegri.

Escludendo le migliaia di aziende pubbliche di proprietà di Comuni, Regioni, Province e Stato, e senza considerare settori del tutto morti come l’immobiliare e l’editoria, il resto delle aziende possono essere classificate in tre categorie:

A) quelle che vanno bene, riescono a stare sui mercati e hanno credito e cassa;

B) quelle che vanno così-così ma che non hanno possibilità di svilupparsi, per tutta una serie di ragioni, che vanno dalla poca capacità di presidiare i mercati alla scarsa possibilità di finanziarsi o farsi finanziare, dalla mancanza di un management adeguato alla poca capacità d’innovare;

C) quelle che non vanno proprio, sono fuori mercato, non hanno prodotti appetibili e senza alcuna possibilità di sopravvivere.

Ora, tenuto conto che questo 2013 si prospetta come un anno topico, che non farà sconti a chi sbaglia, il consiglio che si può dare alle aziende di tipo C è quello di non insistere nel combattere una guerra di logoramento: meglio chiudere bottega e calare la serranda cercando di non farsi troppo male.

Per le aziende di tipo B, meglio vendere baracca e burattini , al più presto possibile, e a qualcuno che – soldi in bocca – sia interessato a rilevare un’attività che lui, forte di capitali, idee e management sia in grado di mantenere in corsa; ed è l’unica soluzione perché l’alternativa è finire fra gli sfigati del gruppo C.

Quelle del gruppo A devono solo investire, investire e investire. Perché anche per loro c’è un rischio: il gruppo B, e quindi dover cedere a qualcuno meglio organizzato, strutturato e ben guidato per sopravvivere in anni dove la competizione diventerà sempre più feroce ed esiziale, sopratutto per chi non ha mentalità, struttura e soldi per battersi con un minimo di possibilità di successo.

In tutto questo conta sempre e comunque il fattore umano, cioè avere quel giusto numero di collaboratori, molto motivati e ben preparati, il che purtroppo significa sbarcare tutti quelli che non remano per una ragione qualsiasi.

Un’azienda oggi è come una portaerei in pieno Pacifico, dove ogni singolo marinaio deve essere ben conscio che è in guerra, tutti i giorni e a qualsiasi ora del giorno, e che se la nave prende un siluro (un cliente che lascia, un cliente che non paga, un cliente scontento), la nave comincia a imbarcare acqua.  E con la nave sbandata e poi affondata, in pieno Pacifico, nessuno viene a salvarti, in parole povere e brutali, non ci sono altre navi dove trovare un posto di lavoro, così come non ci sono più navi da crociera con ricche feste e cotillion.

Perché siamo in guerra, una guerra lunga e sanguinosa, dove lo scopo non è morire per la propria patria ma fare in modo che qualcuno muoia per la sua. (George G. Patton).